La gatta by Colette

La gatta by Colette

autore:Colette
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
pubblicato: 2015-10-25T23:00:00+00:00


VII

Una sera di luglio, mentre tutt’e due attendevano il ritorno di Alain, Camilla e la gatta riposavano sullo stesso parapetto, la gatta accucciata sulle zampe ripiegate, Camilla appoggiata sulle braccia in croce. A Camilla non piaceva quel balconcino riservato alla gatta, limitato da due pareti in muratura che lo proteggevano dal vento e da ogni comunicazione con il terrazzo di prua.

Si scambiarono un’occhiata di pura indagine e Camilla non rivolse la parola a Saha. Si sporse sui gomiti come per contare le file di tende arancione tese come vele dall’alto al basso della facciata vertiginosa. Sfiorò la gatta che si alzò per farle posto, si stirò e andò a riaccucciarsi un poco più lontano.

Non appena era sola, Camilla tornava a somigliare alla ragazzetta che non voleva dir buongiorno ed il suo volto diveniva infantile, con quell’espressione di inumana semplicità, di durezza angelica, che nobilita il volto dei bambini. Lasciava vagare su Parigi, sul cielo dal quale la luce fuggiva ogni giorno più presto, uno sguardo imparzialmente severo, che forse non biasimava nulla. Sbadigliò nervosamente, mosse distratta alcuni passi, si sporse di nuovo, obbligando la gatta a saltare a terra.

Saha si allontanò con dignità e preferì rientrare nella camera. Ma la porta era chiusa e Saha sedette pazientemente. Un istante dopo doveva cedere il passo a Camilla, che si mise a camminare da una parete all’altra a passi bruschi e lunghi: e la gatta saltò sul parapetto. Come per gioco Camilla la fece sloggiare, affacciandosi, e Saha di nuovo si ritirò contro la porta chiusa.

Con l’occhio fisso all’orizzonte, immobile, Camilla le voltava le spalle: eppure la gatta contemplava la schiena di Camilla e il suo respiro si faceva più frequente. Si levò, girò due o tre volte su se stessa, interrogò la porta chiusa. Camilla non s’era mossa. Saha gonfiò le narici dimostrando un’angoscia che somigliava alla nausea, ed un miagolio lungo, desolato – misera risposta ad una decisione imminente e muta – le sfuggi; Camilla si volse.

Era un poco pallida ed il belletto, ora evidente, le disegnava sulle guance due lune ovali. Simulava un’aria distratta, come avrebbe fatto sotto uno sguardo umano. Si mise perfino a canticchiare a bocca chiusa e riprese la passeggiata dall’una all’altra parete sul ritmo del suo canto: ma la voce le mancò. La gatta fu costretta, per non essere schiacciata, a risalire d’un balzo sul suo stretto osservatorio, poi ad appiattirsi contro la porta.

Saha si era ripresa e sarebbe morta piuttosto che gettare un secondo grido. Braccando la gatta coll’aria di non vederla, Camilla passeggiava avanti e indietro, in assoluto silenzio. Saha balzava sul parapetto solo quando i piedi di Camilla erano sopra di lei, e non ritornava sul pavimento del balcone se non per evitare il braccio teso che l’avrebbe precipitata dall’altezza di nove piani. Fuggiva con metodo, saltava con cura, teneva gli occhi fissi sull’avversaria e non accondiscendeva né al furore né alla supplica.

L’emozione acutissima e la paura della morte bagnarono di sudore le sensibili piante delle sue zampe che lasciarono impronte di fiori sull’asfalto del balcone.



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