Io sono la strega by Marina Marazza

Io sono la strega by Marina Marazza

autore:Marina Marazza [Marazza, Marina]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Solferino
pubblicato: 2020-05-21T22:00:00+00:00


Benvenuta all’Inferno

Mio padre me ne aveva parlato di quei posti, ne ero sicura. Dovevo solo ritrovare quel ricordo. Mi avvolsi meglio nello scialle anche se era tutto bagnato, perché i moschini mi stavano divorando viva.

Era una notte calda, come aveva detto il comandante, e sarebbe stata anche piacevole, appena a qualche miglia di distanza. Ma ero finita nella zona maledetta, in quel fazzoletto di terra paludosa che sta tra il Po, il Tanaro e lo Scrivia. Non c’era terra sotto i miei piedi, ma una torba umida. Era pericoloso muoversi al buio, avrei fatto meglio ad aspettare le prime luci, ma dovevo allontanarmi il più possibile dalla rascona, casomai la mattina ai navaroli fosse venuto l’uzzolo, col sole, di darmi la caccia come si fa alla selvaggina di palude.

La cosa meno rischiosa era seguire il corso del fiume, stando quasi sulla riva, approfittando dell’oscurità. Camminai tutta la notte, ringraziando la luna quasi piena che si rifrangeva sull’acqua e illuminava il mio sentiero con la sua luminosità argentea. Procedevo, un passo dietro l’altro, stringendo i denti. Per fortuna avevo mangiato e bevuto qualcosa nel pomeriggio, sulla nave.

Quando mi parve di aver messo distanza sufficiente tra me e la barca era l’alba e mi inoltrai cauta in un folto di salici, già sfiorati dal primo sole. Una biscia d’acqua smeraldina mi scivolò su un piede, facendomi gridare dallo spavento. Il mio urlo, per quanto soffocato, zittì gli insetti e la natura tutto intorno a me e mise in fuga dei piccoli eleganti aironi dal collo lungo che si levarono in volo spaventati.

Ai piedi di un grande salice vidi una roccia piatta coperta di muschio, a lato di un piccolo stagno circondato da un fitto canneto, e mi diressi cauta in quella direzione, tastando col piede la solidità del terreno. Lì non sarei stata visibile dalla riva. Mi sdraiai sulla roccia, usando la sacca come una specie di cuscino, e lasciai che le mie gambe stanche trovassero un po’ di sollievo. Il sole mi stava asciugando rapidamente i vestiti ancora umidi dopo il tuffo forzato. Era come se una mano calda mi accarezzasse con gentilezza. Chiusi gli occhi, sopraffatta dallo sfinimento. Raggomitolata sulla roccia, finii per lasciare che le palpebre si facessero pesanti. «Riposo solo un momento e poi mi rimetto in marcia» dissi fra me.

Dopo non so quanto tempo, fu una voce d’uomo a svegliarmi. «Benvenuta all’Inferno!» esclamò beffarda. Mi tirai a sedere terrorizzata: i navaroli dovevano avermi raggiunta. Mi vedevo già morta.

Ero abbagliata dal sole che mi brillava in faccia, tanto che non riuscivo a distinguere la sagoma che mi sovrastava, ma mi pareva nera ed enorme. Se mi aveva salutata in quel modo, forse era lui, il diavolo, venuto a riscuotere la mia anima.

«Mio signore…» balbettai, mettendomi in ginocchio.

La sua risataccia sguaiata mi stupì. «Brava, Catlin, mostrami rispetto!»

Ma io quella voce la conoscevo! Era Francesco, il Cechin della baracca. Il mio iniziatore al culto di Satana.

«Che ci fai qui?» domandai, stupita, premendomi una mano contro il petto per evitare che il cuore impazzito se ne uscisse.



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