Tralummescuro by Francesco Guccini

Tralummescuro by Francesco Guccini

autore:Francesco Guccini [Guccini, Francesco]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Biography & Autobiography, Personal Memoirs
ISBN: 9788809892132
Google: tWKmDwAAQBAJ
Amazon: B07VVDM9PT
editore: Giunti
pubblicato: 2019-09-17T00:00:00+00:00


1 bracciadèlla: bracciatella, torta tonda con il buco in mezzo perché veniva messa al braccio.

2 sèrpa: panierino.

3 rużżàvano: giocavano saltando e correndo.

4 scalufati: scarruffati.

5 matérie: frivolezze.

6 vedróne: vetrone, grosse palline di vetro. Tre palline di terracotta facevano una vedróna.

7 biétta: grossa fetta.

8

Le scuole adesso sono tre, abbiamo ’n abbondanza d’istruzione che fa paura. C’è quella elementare, una palazzina a mezza strada, prima di arrivare alla Chiesa.

C’è poi la scuola media, appena sotta a la Chiesa, quell’edificio che fece costruire Don Quinto per farci l’asilo e il nuovo bar alimentari col biliardo, sul quale Don Quinto in persona si esercitava quotidianamente tanto da avere la manica destra della tonaca lucida a forza di strisciare sul bordo per prepararsi alla bocciata. Una leggenda popolare (messa forse in giro dai nemici del clero) asseriva che fu sentito un distinto “Dio bello!” sfuggirgli a causa di un filotto mancato. Era però un sant’uomo, anche se teneva omelie chilometriche che nessuno capiva e una volta gli misero una sveglia in un confessionale (in un confessionale, “nel” confessionale, l’unico che c’era), suscitando un notevole scandalo. Nell’alimentari c’era anche il posto telefonico pubblico, e tutto era gestito dalla Bébi. Quando arrivava una telefonata che fissava un appuntamento telefonico, veniva affidato un biglietto a un passante o a un cliente che andava nella direzione del destinatario. Il più delle volte la cosa funzionava. L’edificio era costruito un po’ alla valà che va bene1 ma anche alla maniera antica, a bozze di bolognini di sasso lavorato ad arte dai locali scarplini, e col lavoro di non sai quale finanziamento pubblico del Piano Fanfara deviato astutamente sul lavoro di qualche muratore serio e manodopera bruta dei ragazzotti del paese che lavoravano proseguendo nei loro giochi adolescenziali.

Più su c’è un nuovo asilo, di cui ai tempi andati non si sentiva la mancanza, forse, perché i ragazzini piccoli erano affidati ai fratelli appena più grandi e quelli un po’ più grandi ancora diventavano una forza lavoro da impiegare immediatamente come aiuto alla famiglia, segare quel po’ di grano, governare i conigli, star dietro a una capra. Ora nell’asilo ci sono maestre rigorosamente toscane che, con accento rigorosamente toscano, intrattengono i bambini con canti e filastrocche toscane, tipo: “Dove sono le farfalline?” (agitare le mani davanti a sé facendole frullare vorticosamente). “Ovvìa non ci son più!” (nasconderle rapidi dietro la schiena). C’è che i bambini sono toscani geograficamente e politicamente, ma a cavallo fra Emilia e Toscana e di sentimento incerto. Non parlano con accento toscano, non userebbero mai questa interiezione, “ovvìa”, essendo gente che da grande giocherà a briscola con le carte piacentine e no con le toscane, e si farebbe picchiare piuttosto che accadesse il contrario.

Allora c’era come unica scuola quella elementare, sede in due aulette del vecchio Comune, un’auletta per prima e seconda, l’altra per le altre tre classi. Non che ci fossero pochi allievi, ce n’era, ma allora ogni frazione aveva la sua scuola elementare, anche le frazioni più sperdute nell’Appennino, ora, d’inverno, completamente disabitate. Questi edifici oggi giacciono



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