L'intelligenza del lavoro by Pietro Ichino

L'intelligenza del lavoro by Pietro Ichino

autore:Pietro Ichino
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2020-04-17T12:00:00+00:00


25. L’importanza dell’attitudine a valutare il piano industriale, da qualsiasi parte esso venga proposto

È un fatto che i nostri esecutivi (con le sole eccezioni del Governo Prodi nel 2007-2008 e del Governo Renzi nel 2014-2016) hanno quasi tutti tenuto, più o meno apertamente, una linea d’azione ostile alla penetrazione nel tessuto produttivo nazionale dell’imprenditoria straniera interessata alle nostre grandi imprese, per proteggere l’imprenditoria indigena contro la concorrenza che vien da fuori. Discuterne il motivo ci porterebbe troppo lontano. Qui dobbiamo invece chiederci perché questa linea d’azione dei nostri Governi sia tanto gradita a una parte assai rilevante del movimento sindacale. A me sembra che questo possa spiegarsi così: il prototipo del sindacato «alfa» (ne abbiamo parlato nel § 17) prevale ancora su quello «omega». Fatte le debite eccezioni, i sindacalisti che condividono questa scelta hanno scarsa abitudine e capacità di valutare un nuovo progetto industriale e le qualità imprenditoriali (competenza, trasparenza, affidabilità) di chi se ne fa portatore: cercano per i propri rappresentati più diritti e sicurezze che opportunità e prospettive di sviluppo.

Senonché, questa strategia può avere successo in un tessuto produttivo nazionale relativamente statico e chiuso, non in uno aperto e dinamico. Nel quale, invece, essa ha un effetto depressivo sulle possibilità di innovazione, impedisce di sperimentare forme alternative di organizzazione del lavoro e di struttura della retribuzione. Quindi oggi indebolisce l’intero sistema in cui viene praticata.

Il danno di questa politica per i consumatori e utenti è evidentissimo; ciò che è meno evidente è il danno per gli stessi lavoratori, i quali si privano dell’opportunità di beneficiare dell’aumento di produttività delle loro aziende, che potrebbe derivare dall’ingaggio di imprenditori migliori. Si può obiettare che quell’aumento di produttività viene in parte conseguito al prezzo di un maggior rigore nell’organizzazione e nel controllo del lavoro, dunque con qualche costo per le persone che lavorano, in termini di maggiore intensità dell’impegno lavorativo (solo in parte, però: per altra parte influiscono il know-how e le tecniche di organizzazione più avanzate); le molte esperienze che ci si offrono nel panorama internazionale consentono tuttavia di ipotizzare ragionevolmente che per la grande maggioranza degli stessi lavoratori il sacrificio sarebbe ampiamente compensato dall’aumento delle retribuzioni conseguibile e dalla maggior sicurezza conseguente al guadagno di competitività dell’azienda. È comunque interesse – io direi anche diritto – dei lavoratori poter scegliere.

Questa, dunque, è la politica che dovrebbe perseguire qualsiasi Governo nazionale, nell’era della globalizzazione, non solo nell’ovvio interesse dei consumatori e degli utenti, ma anche nell’interesse dei lavoratori: attirare il maggior numero possibile di imprenditori stranieri nel mercato del lavoro italiano, perché sia possibile scegliere quelli che offrono il progetto migliore. E un sindacato avveduto, anziché – come per lo più accade – compiere pregiudizialmente la scelta di tutelare vecchie rendite di posizione, o difendere imprese gravemente inefficienti, dovrebbe far propria la scelta strategica di avvalersi il più possibile della concorrenza attuale o potenziale degli imprenditori stranieri nel mercato del lavoro, per poter scegliere quello tra essi che offre le prospettive complessivamente più vantaggiose per i lavoratori. Esattamente il contrario, dunque, della difesa dell’«italianità» delle aziende.



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