Mussolini: Castellovolante by Paolo Valera

Mussolini: Castellovolante by Paolo Valera

autore:Paolo Valera
La lingua: it
Format: mobi, epub
Tags: Europe, Political Ideologies, Italy, Fascism & Totalitarianism, Political Science, History
ISBN: 9788863990140
editore: castello volante
pubblicato: 1975-03-15T15:05:30+00:00


XXI

IL PRINCIPE DI MONTENEVOSO

Forse il torto è nostro di supporre che i poeti siano dei vivacchiatori di idealismi o superuomini diversi. Sono uomini come noi. Si danno a tutti i nostri spassi e a tutte le nostre aspirazioni. La poesia del resto è finita. La poesia del nostro tempo è vendereccia, come la prosa dei tempi pescecaneschi. Si vende tutto. Giosuè Carducci fu un eminente bevitore di vino di vasello e di bottiglia, come Stecchetti fu un ottimo bevitore di birra e di barbera.

L'Enotrio Romano scomparve. Fece bene. Non poteva sopravvivere alle sue maledizioni antimonarchiche. Un giorno fu tanto ingenuo da consigliare il sovrano a buttare la corona oltre il Po. Fu l'ultima sosta di Enotrio Romano. Egli voleva farsi il tribuno armato della rivoluzione italiana e sciogliere il voto nazionale a Roma. Tempi dei rompicolli. L'autore delle "odi barbare" aveva capito che egli passando all'altra riva sarebbe stato possente. Il divinizzatore di Robespierre si è gettato in piazza completamente monarchico. L'ode alla regina non era sua. Gliel'avevano ispirata, suggerita. Tutti così questi poeti.

Tuttavia egli non ha voluto acconciarsi alla demolizione. Si credeva troppo alto perché i suoi ex inalzatori potessero gridargli abbasso! Eppure non fu più repubblicano. Neanche coi suoi dodici sonetti del Ça ira. È diventato, s'intende, più ricco. Vi fu un momento in cui egli ha riabilitato Francesco Crispi, quando circolava come il peggior ribaldo che abbia governato l'Italia. Il parlamento gli ha dato una pensione, la regina ha comperato i libri della sua biblioteca privata, le sue pubblicazioni andarono a ruba e a prezzi proibiti e durante le stagioni non ha fatto fatica a risalire a Madesimo a bere il vino delle vecchie cantine e l'aria fresca. Da cittadino era divenuto suddito. Cantava la patria. Indossava la redingote. Non era più l'uomo che doveva mandare a Sommaruga la prosa e la poesia per la Bizantina. Scriveva una ode barbara per un personaggio dei Savoia o per la figlia di Crispi o per Crispi e la sua edizione regia correva sui binari dei professori dotti ed eloquenti come nessun'altra.

Gabriele D'Annunzio non ha avuto ipocrisie. Per lui la sua penna è stata la sua bottega. Non lasciava mai il manoscritto ad Angelo Sommaruga senza il suo compenso. Non volle essere né cittadino, né suddito, né girondino, né giacobino. Ha fatto della poesia venduta al migliore offerente. Ha incominciato coll'essere una meraviglia della strada e del salotto. La gente lo guardava. Oscar Wilde attirava l'attenzione pubblica in America con un abito color bottiglia. Who is he? Si domandavano i passanti. Gabriele D'Annunzio con un superbo levriero, signorilmente macchiato, per le vie di Roma era l'attraction. Egli era in giro come un ragazzo di genio. La gente sapeva i suoi intermezzi di rime a memoria. Canzoni rudi, canzoni libere, canzoni di gran lietezza, di vita nuova. La prima gesta fu libidinosa. Coloro che prima lo avevano sparso come un portento, chiamavano in seguito la legge a sopprimere le sue impudicizie. Non vedevano nelle sue poesie che fango. Dalla sua letteratura passavano prostitute, si vedevano bordelli, vi scorrevano parole sconce e puttanesche.



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