Bruno Vespa by *

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autore:* [Sconosciuto]
La lingua: ita
Format: epub


E arrivò il "Ribaltone day"

Se esistono al mondo due persone che incontrandosi sulla banchisa

polare stenterebbero a chiedersi un'informazione qualsiasi, questi

sono D'Alema e Buttiglione. Ma si sa che la politica è

imperscrutabile. Così, eletti nel luglio del '94 leader dei

rispettivi partiti, i due s'incontrarono il 7 agosto a un tavolo

d'angolo del ristorante "Il bastione" a Gallipoli. "Doveva essere un

incontro riservato" mi disse D'Alema "ma ne dette notizia l'ufficio

stampa del Partito popolare." Fu un pranzo d'amore, che decretò la

morte del governo Berlusconi.

Naturalmente, D'Alema e Buttiglione da soli non avrebbero potuto

far niente, oltre ai sospiri di desiderio. Ma l'aiuto di Bossi non

tardò ad arrivare. Ci furono appuntamenti carbonari in autunno nella

modesta abitazione romana del Senatùr che, in un'occasione, offrì

sardine nella cucina di casa e in un'altra, per guadagnar tempo,

consigliò sbrigativamente a D'Alema di portarsi dietro un paio di

panini.

[p. 299] Si sapeva da tempo che Bossi stava preparando a Berlusconi

un trappolone parlamentare. Due importanti onorevoli leghisti

sostengono di aver saputo che il Senatùr arrivò a confidare il suo

piano addirittura all'avvocato Agnelli, che non aveva in simpatia

Berlusconi, freddissimo sull'ipotesi di concedere la rottamazione

delle auto che anni dopo la Fiat avrebbe ottenuto da un Prodi

recalcitrante.

Bossi venne allo scoperto una prima volta il 6 novembre,

all'assemblea federale di Genova. Alle perplessità dei suoi (e

soprattutto di Maroni) rispose accelerando i tempi della crisi.

Buttiglione, eccitatissimo all'idea del ribaltone, gli andò subito

dietro. Chi si aggregò per ultimo - e dopo forti perplessità - fu

proprio D'Alema. Incontrò in segreto Berlusconi in casa di Gianni

Letta e si sentì proporre una specie di patto per arrivare presto a

elezioni anticipate che eliminassero una volta per sempre tutto

quello che c'era tra il Pds e Forza Italia. D'Alema non accettò e le

perplessità del Cavaliere fecero fallire l'ipotesi di un "governo di

tregua" sul quale avevano trescato Letta e Veltroni incontrandosi a

cena in casa di Maria Angiolillo e mandando di traverso a Giuliano

Ferrara uno strepitoso petit chou aux fines herbes.

Alla fine, D'Alema chiese una mozione unitaria di sfiducia firmata

anche da Bossi e Buttiglione, che prima accettarono e poi ne

prepararono una separata da quella del Pds sul divanetto di pelle

rossa dello studio del Senatùr a Montecitorio. La scelta leghista non

fu indolore: molti parlamentari del Nord sapevano bene che i loro

elettori avrebbero preferito mettere lo zucchero nella polenta

piuttosto che vedere la Lega insieme con i "comunisti". Ma Bossi fece

un blitz domenica 18 dicembre e il lunedì i dissidenti si trovarono

in minoranza.

Le mozioni di sfiducia furono presentate il 21 dicembre. Quel

giorno, Rosy Bindi e gli altri della sinistra popolare decretarono

che tra Rocco Buttiglione e Winston Churchill non c'era paragone: a

favore del primo, naturalmente. Cinque mesi prima, come abbiamo

visto, la Bindi avrebbe fatto la cubista pur di non ammettere una

cosa del genere, ma il discorso del professore contro Berlusconi fu

giudicato di commovente [p. 300] efficacia. "Buttiglione è la

reincarnazione di Moro e in più sa farsi capire" commentò Teodosio

Zocca, un "popolare", che in luglio ne era stato tra i più fieri

avversari. E Giovanni Bianchi, che gli aveva conteso la segreteria:

"Rocco sta compiendo un grande capolavoro. E' accorto e concreto".

Berlusconi difese il suo governo con un discorso di ventisei minuti

tutto rivolto contro "il tradimento e la truffa all'elettorato" di

Bossi.



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