Romanzi e parodie by Ferrante Pallavicino

Romanzi e parodie by Ferrante Pallavicino

autore:Ferrante Pallavicino [Sconosciuto]
La lingua: ita
Format: epub
editore: UTET
pubblicato: 2012-12-31T23:00:00+00:00


[XXIV] Molto Illustre Sig[nore],

so qualmente il concorso di molti buoni ingegni fonda costà il trono delle belle lettere. Quindi ho stimato di non potere collocar altrove meglio la speranza d’essere compiacciuto nel desiderio ch’io tengo d’avere la descrizione d’un’Arpia. Bramo una composizione vaga, accioché rimanga ben servito chi me ne fa particolare instanza. V. Signoria, per la familiarità che tiene con molti virtuosi, avrà opportuno il favorirmi, come la prego con ogni affetto, e le bacio le mani.

«Chi riceverà quest’ordine — disse il Cavaliere — potrà facilmente eseguirlo, essendo in città nella quale sono molti vivi esemplari d’Arpie, che però non sarà malagevole692 il formarne aggiustata693 descrizione».

«Alludete per certo — soggiunse il Marchese — alla moltitudine de’ Grandi ch’in quella abitano, là onde nelle tirannidi, nella crudeltà abbondano quelli da’ quali si rendono familiari li costumi e le sembianze d’Arpia».

«Ne’ trattamenti di fierezza — ripigliò il Conte — convengono que’ Signori con natura così spietata, qualunque ella sia, o finta o vera. Evvi ben sì differenza nella condizione che s’attribuisce all’Arpia di palesare segni di pentimento, ogni qual volta nel suo viso ella raffigura il sembiante umano».

«E quando mai — disse il Barone — confessano li Principi d’essere uomini ingannati dalla loro superbia, la quale gli persuaderà non conoscersi somiglianti agli inferiori ch’essi calpestano e mal trattano?».

«Questa è ben sì la ragione — replicò il Cavaliere — per cui operano, quasi bruti, sdegnandosi d’apparire con costumi umani. Non però è mal applicata la similitudine d’Arpia, come che non possono mentire la faccia694. Mancano695 nella condizione di pentirsi, posciaché forano deformi nel corpo come nell’animo, se ad imitazione di quella dovessero sgraffiarsi il viso alla presenza di chiunque rinfaccia loro un atto di crudeltà o d’ingiustizia»696.

«Li Grandi — soggiunse il Barone — hanno le mani talmente adunche e arrancate697, che buone solo al rapire o al lacerare altri, non possono rivolgersi al punire loro medesmi».

«Intendevo — ripigliò il Marchese — d’accennare altro esemplare della descrizione che chiede costui, cioè a dire la donna; ma le opposizioni dalle quali si contrasta698 a’ Grandi la perfetta somiglianza con l’Arpia, militano anche contra la femina. Oltre che questa non appetisce altro sangue che l’oro, né si mostra spietata che per isvenare le borse».

Tra questi discorsi preparò il Conte nuova lettera, con cui cimentò la curiosità de’ compagni, così leggendo:



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