Schiavi by Salvatore Bono

Schiavi by Salvatore Bono

autore:Salvatore, Bono [Bono, Salvatore]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, Biblioteca storica
ISBN: 9788815326560
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2016-10-14T22:00:00+00:00


Forse la tendenza a pensare che gli schiavi cristiani fossero soltanto «captivi» in attesa di riscatto – abbiamo all’inizio discusso la distinzione fra questi e gli schiavi – ha persino indotto a trascurare le testimonianze dirette di non pochi galeotti cristiani, come quella dello spagnolo Diego Galán, al remo a fine Cinquecento sulle galere turche in servizio sul Danubio; per sua fortuna egli era un «quarterolo», sedeva cioè su un banco come quarto a partire dal corridoio, prossimo dunque al fianco della nave, una posizione di relativa minor fatica. Nel secolo successivo fra le migliaia di schiavi galeotti troviamo il portoghese João Mascarenhas, per cinque anni ad Algeri (1621-26), che nel suo récit di schiavitù non solo riferisce come testimone diretto le imprese della nave corsara sulla quale remava – fra l’altro l’incursione a Sperlonga, sulla costa laziale, nel 1623 –, ma racconta anche altre storie infelici o fortunate di schiavi cristiani. Pochi anni più tardi, nel 1631, giunse schiavo ad Algeri l’inglese Francis Knight scelto come schiavo del pascià alla morte del suo privato padrone, l’armeno Mahomet Aga, e imbarcato allora, nel febbraio 1637, su una galera della cui campagna corsara fu a sua volta testimone[13].

Per soli tre mesi dell’anno 1722 – di certo i più dolorosi della sua vita – il bolognese Giovan Battista Natali fu costretto sulla galera «padrona» di Tunisi (la seconda della flotta) al «duro continuo esercizio di remigare […] non avendo altro sostentamento ogni giorno, che solamente 6 o 7 olive secche, poco biscotto, mezza libra in circa, e l’acqua con stento»; un suo concittadino, Giovan Maria Ghiselli, per il cui riscatto si adoperò efficacemente il conte Marsigli, era stato al remo su una galera del bey di Chio. Ogni testimonianza può renderci un qualche particolare interessante, ma una delle più efficaci e commoventi rievocazioni della vita di uno schiavo al banco di una galera ce la offre il Galeote de Argel, François Cocardon, nativo di Six-Fours, in quel di Tolone. Il suo racconto della vita a bordo comincia così: «Non conosco uomo che possa meritare un castigo orribile come quello della vita di uno schiavo al remo, per quanto spaventosi possano essere i suoi peccati». Il manoscritto del Galeote pubblicato da Bartolomé Bennassar non si trova da nessuna parte; quella storia verissima, come si usava dire qualche secolo fa, è scaturita dalla profonda conoscenza del mondo mediterraneo e dalla grande vena letteraria dello storico francese[14].

Nel mondo mediterraneo, proprio a motivo della prossimità geografica delle due parti e delle frequenti occasioni di contatto, vi era un costante rischio di fuga e di azioni violente da parte della componente schiavile delle ciurme e di quella presente in città. Quando perciò nel corso del Cinquecento la comunità schiavile sulle navi si accrebbe, per tenerla meglio sotto controllo e per offrirle, come a tutta la ciurma, un riparo durante la notte, nelle città barbaresche si adattarono locali di vario genere: si utilizzarono anzitutto edifici già destinati a bagni pubblici (gli hammam) e così gli schiavi europei cominciarono a chiamare bagni i locali della loro detenzione e diffusero quella accezione del termine.



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