Storia Di Iqbal by Francesco D'Adamo

Storia Di Iqbal by Francesco D'Adamo

autore:Francesco D'Adamo
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
editore: Einaudi
pubblicato: 2015-04-08T22:00:00+00:00


Dieci

– Sono arrivato in città, – ci raccontò Iqbal, – che cominciava appena ad albeggiare. Il cielo era grigio, pioveva, c’erano grandi pozzanghere dappertutto e non sapevo dove andare. Per un po’ ho girovagato a caso, ci sono quartieri dove tutti i palazzi sono altissimi, da non riuscire a distinguerli, e quartieri di vecchie case che cadono a pezzi, ammassate una sull’altra, e ancora non c’era in giro quasi nessuno, perché era troppo presto. A un certo punto ho incontrato una strada, molto larga e lunga, che usciva dalla città e ho pensato: «Forse da qui arrivo a casa, in campagna, dai miei». Potevo nascondermi e tentare di salire su di un camion o su di un autobus, in qualche modo. Stavo per farlo. Poi ho pensato che sicuramente Hussain Khan sarebbe venuto a cercarmi a casa dei miei genitori, e li avrebbe obbligati a riconsegnarmi a lui. Mamma di certo si sarebbe opposta, ma papà è un uomo giusto, rispettoso della legge, e siccome ha il debito non avrebbe potuto dire di no. Cosí ho cercato la piazza del mercato. È grandissima, sapete? Neanche potete immaginare quanto. Ci sono centinaia di banchi di legno, uno accanto all’altro, e cassette impilate e stuoie dove ognuno espone la sua merce e, nonostante la pioggia, i commercianti erano già al lavoro. Montagne di frutta, camion di verdure che arrivano dalla provincia, ceste di spezie di tutti i colori, protette da teli di plastica, poi ci sono i banchi dei macellai che, per difendere la carne dalle mosche, usano strisce di carta appiccicosa, e quelli che semplicemente appoggiano la loro mercanzia per terra e vendono di tutto, cose vecchie e strane, anche chiodi storti e arrugginiti.

– Ma va’!

– Ti dico. Non so chi glieli compra. E poi ci sono dei banchi che sembrano dei veri e propri negozi e hanno delle grandi radio e delle cassette che metti dentro e senti la musica.

– Lo so, – disse Karim con aria vissuta.

– E delle altre cassette che, dicono, si vedono le immagini.

– Questo non lo so, – ammise Karim.

– Ho girato per ore. C’era sempre piú gente in giro e sempre piú confusione. Ho pensato che se mi confondevo tra la folla era piú difficile che Hussain Khan potesse trovarmi. C’erano anche gli spettacoli: ho visto un giocoliere. E un incantatore di serpenti!

– Non ci sono gli incantatori di serpenti.

– Sí, invece!

– E il serpente ballava al suono della musica?

– Non proprio. Ma è uscito dalla cesta, era un grosso serpente con il muso largo e lo sguardo cattivo e lui l’ha preso con le mani.

– A mani nude?

– Proprio. E dappertutto c’era chi vendeva roba da mangiare: padelloni per friggere le samosa o le shami kebab, sapete, le frittelle di lenticchie e montone. Pentoloni di riso basmati e di pollo tandoori. Spiedini di carne e verdure alla griglia. Un profumino. E io ero affamato.

– E tu? Tu come hai fatto?

– Ho lavorato. Ce n’è anche lí, sapete?

– Che cosa?

– Di bambini che lavorano.



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