Una vita al massimo by Massimo Ferrero

Una vita al massimo by Massimo Ferrero

autore:Massimo Ferrero [Ferrero, Massimo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Scena 6

Ambiente: Roma, con un gay.

Pallanza, con un prete

La mia storia nel cinema è iniziata così, da aiuto segretario di produzione, un attimo dopo aver messo sotto chiave Spaccesi.

Prendevo centoventimila lire a settimana e, la prima settimana che mi hanno pagato, ho comprato subito pannolini e vestitini per Vanessa. Sulla patente temporanea che mi aveva concesso il prefetto mancava la marca da bollo, ho risolto anche quel problema. Costava mille lire e io finalmente mille lire ce le avevo. Me ne sono addirittura avanzate trentamila. Con la seconda paga settimanale ho messo a posto gli affitti e con la terza le bollette, il resto l’ho messo via.

Oltre al nuovo lavoro, in quel periodo m’hanno ammollato un altro soprannome. Non più “Er Gatto” come nel carcere giovanile, bensì “Viperetta”. È successo tutto un pomeriggio, durante una pausa, in un teatro di posa, quando mi ha fermato un costumista: «Ehi tu, lo sai che qui parlano tutti bene di te?».

Con grande spavalderia gli ho risposto: «Sì, lo so».

«E ti piacerebbe allora fare un film con Pasolini?»

Una bella domanda, ma mentre la faceva mi ha piazzato una mano sul culo. Mamma mia, non ero mica pronto a una cosa del genere. Oggi sappiamo che quel costumista va definito gay, oppure omosessuale, però all’epoca pensavo che uno a cui non piacevano le donne dovesse essere affetto da qualche strana patologia, che avesse una malattia rara, perché io sono cresciuto che li chiamavamo froci. Non c’avevo niente contro quelle persone lì, però evitavo di incontrarle. E ha osato mettermi una mano al culo! E mentre lo faceva, mi ha detto: «Il cinema è fatto anche di lenzuola…».

L’ho insultato, gli ho detto tante cose brutte, gli ho dato anche una testata: «A frocio, ricordati che a me, le lenzuola, me le rimbocca solo mi’ madre».

È caduto in terra, mi sono spaventato e quindi mi sono bloccato un attimo, perché ho avuto un flash come quando a prenderle ero io dentro al carcere minorile. Qualche secondo più tardi ho ricominciato. Più lo menavo e più questo sembrava godere: «Bravo, sì, dai, mena. Dammene ancora. Vipera… Oh sì, sei una vipera…».

Dopo mi hanno spiegato che c’è gente che si eccita quando la gonfi de botte, e uno di questi pervertiti l’ho incontrato io.

«Ancora, sì, riempimi di botte. Vipera… Vipera…»

«Ma la vuoi smettere?»

«Io la posso smettere, ma tu no, vai avanti, ancora, sempre di più. Picchiami. Vipera… Vipera…»

«Basta.»

«Bravo, vipera. Vipera…»

«Ma vattene affanculo» e me ne sono andato, perché ho pensato che la violenza nun paga, e ho promesso a me stesso e a Di Casimiro che non avrei più usato violenza contro nessuno, manco contro quelli che mentre ero in motorino mi facevano le corna dalla macchina.

Qualcuno mi ha sgridato: «Cos’hai combinato? Quello era uno dei costumisti più bravi».

«Ma chissenefrega, è un poveretto.»

«Però non ci si comporta così. Vipera… Vipera…»

Mi prendevano per il culo anche loro: non nel vero senso della parola, al contrario del costumista che ci aveva pensato seriamente. Ormai ero il Viperetta.

Almeno da lì, non mi hanno mandato via.



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