L'età della rivoluzione by Eric J. Hobsbawm

L'età della rivoluzione by Eric J. Hobsbawm

autore:Eric J. Hobsbawm
La lingua: ita
Format: azw3, epub
editore: Rizzoli
pubblicato: 2017-08-23T22:00:00+00:00


V.

LA RIVOLUZIONE fondiaria fu l’aspetto politico del disgregamento della società agraria tradizionale; l’affermazione della nuova economia rurale e del mercato mondiale ne fu l’aspetto economico. Nel periodo che va dal 1787 al 1848 questa trasformazione economica era ancora imperfetta, come si può vedere dalle cifre modestissime delle migrazioni. Le ferrovie e i piroscafi non avevano ancora cominciato a creare un singolo mercato agricolo mondiale fino alla grande crisi verificatasi nell’agricoltura negli ultimi anni del secolo XIX. L’agricoltura locale era quindi largamente protetta dalla concorrenza internazionale o addirittura interprovinciale. La concorrenza industriale non aveva ancora intaccato profondamente le numerose attività artigiane dei villaggi e le numerose manifatture locali, salvo forse ad adeguarne la produzione alle esigenze di mercati più vasti. I nuovi metodi agricoli – all’infuori delle zone in cui si era affermata con successo l’agricoltura capitalistica – penetravano solo lentamente nei villaggi, benché si registrasse un sorprendente progresso nelle nuove culture di tipo industriale, specialmente quella della barbabietola da zucchero, diffusasi in seguito alla discriminazione napoleonica contro lo zucchero di canna (inglese), e nelle nuove culture alimentari, specialmente quelle del mais e della patata. Solo una congiuntura economica straordinaria, come la vicinanza immediata di un’economia altamente industriale e l’impedimento del normale sviluppo, poteva produrre un vero cataclisma in una società agraria con mezzi puramente economici.

Questa congiuntura esisteva – e questo cataclisma si verificò – in Irlanda e, in misura minore, in India. Quel che accadde in India fu semplicemente la pratica distruzione, nel giro di pochi decenni, di quella che era stata una fiorente industria domestica e di villaggio che contribuiva ad integrare la rendita delle campagne; in altre parole, la disindustrializzazione dell’India. Tra il 1815 e il 1832 l’ammontare delle esportazioni di manufatti di cotone indiani scese da 1,3 milioni a meno di centomila sterline, mentre l’importazione di manufatti di cotone dall’Inghilterra aumentò di sedici volte. Nel 1840 un osservatore metteva già in guardia contro gli effetti disastrosi che avrebbe avuto la trasformazione dell’India «in una fattoria agricola dell’Inghilterra: essa è un paese manifatturiero; le sue varie specie di manifatture sono esistite da secoli, ed hanno sempre tenuto testa alla concorrenza di qualunque nazione tutte le volte che questa concorrenza è stata leale [...] Sarebbe ora un’ingiustizia per l’India ridurla a un paese esclusivamente agricolo».28 La descrizione era alquanto inesatta, perché in India, come in molti altri paesi, lo sviluppo dell’attività manifatturiera era stato parte integrante dell’economia agricola di molte regioni. Conseguentemente la disindustrializzazione fece sì che il villaggio rurale venisse a dipendere ancora di più dalle sole e fluttuanti fortune del raccolto.

In Irlanda la situazione era ancora più drammatica. Qui tutta una popolazione di piccoli coltivatori economicamente arretrati e di stabilità quanto mai precaria traeva dalla terra il suo sostentamento e pagava affitti elevatissimi a un gruppo sparuto di padroni stranieri non coltivatori, generalmente assenti. Fatta eccezione per il nord-est (Ulster), il paese era stato da tempo disindustrializzato dalla politica mercantile del governo britannico, di cui esso era una colonia, e più recentemente dalla concorrenza dell’industria britannica. Una



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