Amore, com'e ferito il secolo by Caproni Giorgio

Amore, com'e ferito il secolo by Caproni Giorgio

autore:Caproni, Giorgio [Caproni, Giorgio]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


2. Maggio, 1

Aveva la stola rossa:

parlava della gioia.

Sentivo dentro l’ossa

scuotersi la mia noia.

Sentivo folle un nome

colmare la navata:

parlava di resurrezione

e di speranza, squillata.

Il giorno era il Primo Maggio:

la pasqua dei lavoratori.

Accanto a te che coraggio

nel petto, e che clamori

alzava nel mio orecchio

la tenebra d’un apparecchio!

Le poesie sono state scritte ad una settimana di distanza e datate sui ms. “24/4/55” (OV, 1455) e “1/5/55” (OV, 1456); solo la prima è apparsa in rivista (“Il Raccoglitore”, 193, 7 maggio 1959); entrambe sono comprese in Altri versi, sezione conclusiva di Il seme del piangere. La dedica “a Rina” esplicita il tu a cui il poeta si rivolge nel testo e fa, probabilmente, riferimento ad una comune frequentazione di una funzione religiosa festiva. L’occasione dà l’estro ad uno dei primi, testuali, incontri con Dio, anticipati nella sequenza dello stesso Seme dall’esclamazione di Annina (“Signore cosa devo fare”, di Ad portam inferi) e dalla confidenza autobiografica di Andando a scuola: “Con l’anima mia stretta / e abbottonata, anch’io / pedalando al mio dio / me n’andavo in disdetta”. Anche il “trafelato” è in continuità con tale testo – onirico – di affannate pedalate e di “vita” “consumata in salita”.

In entrambi i testi la figura della moglie è un punto di serenità e sicurezza, ma mentre il primo testo si sigilla nel positivo dell’“ora pia”, il secondo è assai controverso. La “resurrezione” dichiarata come “squillata” dal celebrante risuona come “folle” (e cfr. “e campane / a gloria (forse era festa / d’anima, e di resurrezione) / m’empivano la testa / col vento della costernazione”, Epilogo, da All alone, la cui contiguità compositiva è attestata dai manoscritti, O,V 1455); inoltre all’“orecchio” del poeta questa volta non perviene “il timido fiato” della sposa, come nel primo appunto, ma “la tenebra d’un apparecchio”, che si apparenta con il “respiro / della morte all’orecchio” di Le biciclette. Forse l’ancipite finale ha qualche memoria da La primavera di Machado: “de la sirena el lúgubre al arido, / y en el azul el avión platea, / cuán agudo se filtra hasta mi oído, niña immortal, infatigable dea, / el agrio son de tu rabel florido!”, recentemente tradotto da Macrí “dà la sirena l’urlo micidiale / e vibra nell’azzurro argentea l’ala, / come acuto si filtra nel mio udito, / indefessa fanciulla, dea immortale, / l’acre suono del tuo liuto fiorito!”, Poesia spagnola del Novecento, Guanda, Parma 1952).



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