Autobiogrammatica by Tommaso Giartosio

Autobiogrammatica by Tommaso Giartosio

autore:Tommaso Giartosio [Giartosio, Tommaso]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Minimum Fax


Via del Canneto

Sarò riuscito a spiegare il mio infaticabile ricordare i nomi animali? Sì, fino in fondo, e no, non del tutto. La coda è la parte più difficile da scorticare. Non è finita, ce n’è ancora un pezzo. Come lo so, lettrice, lettore? Lo so. Di notte ho di nuovo il fiato corto.

Nel letto del fiume, nel fiume del sonno, nel sonno del tempo passato, sogno ancora un essere ibrido. È il mutaforma che mi insegue per le stanze di Castiglione. Mi sveglio, c’è ancora. Mi risveglio, c’è ancora. E sotto ci sto sempre io. E la coda? Sta in fondo, la coda. E resta catturata, e fa male. Ayè, ayè! Ma ci arriverò.

«Mamma, c’è una fantasma a Castiglione?»

«A parte me e papà, vuoi dire, Tompùssilo?»

«Voi non siete fantasmi. Siete morti. E vivi».

«Dici parole in libertà, come al solito! C’era il batù nella nostra casa di Alvesta: era una signora comme il faut che attraversava il salone. Ma in quella di Castiglione no, non ne ho mai visti. Forse non guardavo bene. E tu, hai mai visto un fantasma?»

«Forse. Ma a Roma».

Il centro del quartiere in cui sono cresciuto era riempito dal grande vuoto di una piazza d’armi. A sera la tromba suonava le lunghe note avare del silenzio militare.

Uscendo di casa sbirciavo nella garitta un uomo rigido e immobile. Poi costeggiavo un interminabile muraglione sorvegliato da torrette di guardia, fino all’ingresso monumentale con colonnato e scalea. Se provavo a salirci, le guardie mi cacciavano.

Di fronte, al di là del viale, c’erano altre torrette, il muro di cinta di una tenuta di proprietà dei Savoia, e il perimetro di un collegio cattolico. Tra la tenuta e il collegio si insinuava via del Canneto. Era una stradina sterrata in cui non bisognava andare.

E nessuno ci andava. Tanto lì non c’era niente. Posso confermarlo: non c’era praticamente niente.

Si addentrava nella penombra sottraendosi subito alla vista, con una curva rapida come una sferzata.

A volte avevo visto uscirne un barbone ubriaco, sfiorato dalle berline di passaggio. Oppure era un ragazzetto olivastro a sgattaiolare lì dentro e scomparire. E ogni tanto il paracarro che ne segnava l’angolo era presidiato da una bella ragazza in attesa. I caramba la cacciavano via e lei si addentrava nel viottolo a passi lenti e maestosi, fin dove finiva la luce dell’unico fanale.

Cosa c’era laggiù? Orti di guerra? L’ingresso di una grande Zona abbandonata? Il passaggio segreto verso il capo opposto del quartiere? E forse, si diceva, qualcosa di peggio – malviventi, ragazzi cattivi, cani randagi... Laggiù, così lontano da tutto, potevano farti qualsiasi cosa...

Un pomeriggio (avrò avuto tredici anni) mi decisi. Come il Martino Testadura di Gianni Rodari, raccolsi il respiro ed entrai.

Non è vero che il primo passo è il più difficile: è solo il più facile da rimandare. Ora non potevo più tirarmi indietro.

Dopo quella prima curva il quartiere è svanito di colpo. Con lui, lo spazio e il tempo.

Sono come l’astronauta alla fine di 2001 Odissea nello spazio. Ci sono solo la via stretta, i



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