Cibo by Helena Janeczek

Cibo by Helena Janeczek

autore:Helena Janeczek [Janeczek, Helena]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Guanda
pubblicato: 2019-03-03T23:00:00+00:00


Quando arrivai a Milano c’erano ancora i bar con le sedie impagliate in cordoncino di plastica, le pizzerie senza tovaglie che offrivano pizza margherita, napoli, romana, pugliese, siciliana, prosciutto, prosciutto e funghi, calzone, quattro stagioni e, da poco, quattro formaggi. Una guida alla città segnalava la sopravvivenza di alcune tipiche latterie, botteghe con bar e mescita più qualche tavolo dove mangiare un pasto caldo a mezzogiorno. Può darsi che se ne trovi qualcuna anche oggi, in zone che non conosco. Del resto, mi sono impadronita della città nei primi quindici mesi dei sei anni vissuti a Milano, il che significa che la conosco a spicchi e a raggi, però non male. Avevo tutto il tempo degli studenti universitari e un nuovo spazio zeppo e sconfinato da conquistare. In quel periodo ho anche cambiato indirizzo quattro volte, il che andava incontro alla mia avidità di esplorazioni, però rende difficile stabilire se siano veramente bastati due anni scarsi perché l’intera città si trasformasse. Inoltre, ho abitato in zone più periferiche o popolari prima di trasferirmi in via Ravizza, medioborghese e semicentrale, e neanche questo aiuta. Ma quando sono tornata dalla Germania qualche mese dopo il funerale di mio padre, ho trovato Milano cambiata.

Dev’essere stato solo l’inizio di quella trasformazione, quanto vedevo circoscritto a quattro strade, nella primavera del 1985. Quelle però si sviluppavano quasi come un progetto-pilota: via Marghera poi via Ravizza poi via Raffaello Sanzio cominciano a essere fagocitate lentamente da pizzerie e gelaterie, pizzerie-ristoranti con nomi da musical americano, lucide e colorate come confetti, gelaterie altrettanto lustre che producono gusti azzurri e rosa chiamati «puffo» e «puffetta». Eliminano mercerie e calzolai e panettieri e latterie intese anche solo come negozi per comprare il latte e trattorie col prezzo fisso e bar con sedie in plastica intrecciata, oppure quei bar riaprono dopo un mese senza più quelle sedie e i vecchi seduti sopra, diventano laccati anche loro, bar con panini e piattini e insalatone per il pranzo veloce di mezzogiorno e in quel momento si estingue il toast farcito.

Certo, te lo preparano anche oggi, se lo chiedi. In qualche sperduto bar di quartiere se ordini un toast ti domanderanno ancora se lo vuoi liscio o farcito e sarà pure rimasto qualche esercente in non so quali periferie che espone il famoso cartello TOSTI, ma in giro per Milano, Milano e dintorni, sul finire degli anni Ottanta non ne ho più incontrati.

Sono osservazioni che non nascono dal rimpianto: il toast farcito non l’ho neanche mai mangiato. E pare improbabile che possa avere nostalgia di Milano come era stata prima che vi arrivassi. All’inizio ero troppo sbalestrata e poi, come ho detto, troppo euforica per cogliere nella mia città nuova i segni di un’agonia. Ma devono esserci stati sin dall’inizio: lo affermo ora dichiarandomi testimone attendibile proprio grazie al mio occhio straniero e soprattutto grazie a Franco Mastrosimone, anche se l’ho conosciuto solo dieci anni dopo il mio arrivo.

Franco Mastrosimone l’ho conosciuto in un paese del Monferrato, luogo di origine di sua madre, mentre, come indica il cognome, il padre era venuto dal Sud.



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