Cruciverba by Unknown

Cruciverba by Unknown

autore:Unknown
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2021-07-08T00:00:00+00:00


VERISMO E FOTOGRAFIA

Sulla fotografia acutissime cose sono state dette; e principalmente, a mia opinione, da Paul Valéry, da Alberto Savinio, da Roland Barthes – e da Henri Cartier-Bresson, fotografo. Aggiungerei – ma non so quando e dove l’ha detta, poiché soltanto la sento citare spesso da un mio amico fotografo – una semplice battuta di Nabokov: «Non mi piacciono i comunisti per l’idea che si fanno della fotografia» (o forse, e più esattamente, la battuta suona così: «Non mi piace il comunismo per l’idea che si è fatta della fotografia»). Che può sembrare una battuta solamente spiritosa e leggera, in allusione alla scomparsa, da certe famose fotografie, da certe storiche fotografie, di personaggi del comunismo internazionale (e si veda a questo proposito l’incipit del Libro del riso e dell’oblio di Milan Kundera: in cui alla scomparsa del comunista Clementis dal mondo dei vivi, per impiccagione, corrisponde la sua scomparsa, per «fotosmontaggio», da una celebre e prima celebrata fotografia): ma non è. Nella battuta è compresso tutto un discorso: serio per la fotografia e grave per il comunismo. In quanto alle altre intelligentissime cose che sulla fotografia sono state dette da Valéry, Savinio, Barthes e Cartier-Bresson (e da tanti altri), si può forse azzardare il giudizio che sono troppo intelligenti: e vanno benissimo, funzionano, convincono se lette isolatamente, a giusta distanza di tempo l’una dall’altra; ma si aggrovigliano, si confondono e confondono il lettore, se si tenta di accozzarle assieme. Acutissime: ma si contraddicono. Verissime: ma di momentanea verità. Ma del resto che cosa è la fotografia se non verità momentanea, verità di un momento che contraddice altre verità di altri momenti? L’idea tremenda che ebbe una volta Brancati, di fare ad un uomo un fotogramma al giorno, dalla nascita alla morte, e di proiettare poi i fotogrammi alla normale velocità con cui si proiettano i films, è un’idea che non ha niente a che fare con la fotografia. Per la fotografia, in assoluto, io credo valga una definizione che Paul Valéry diede della danza: «L’istante genera la forma, e la forma genera l’istante». E che una simile definizione Valéry, che tanto ha scritto sulla fotografia, l’abbia pensata per la danza e non per la fotografia, a me sembra una prova che meditazioni, teorie e regole relative alla fotografia nascano come se l’oggetto, il fatto fotografico, il mezzo espressivo fosse pregiudizialmente o inconsciamente considerato in sé insufficiente, se non addirittura indegno, di una organizzazione, di una sistemazione mentale, di pensiero, e servisse soltanto come occasione, come provocazione a un libero gioco d’intelligenza, di agudezas. E tante ce ne sono, di agudezas, negli autori che ho citato; e particolarmente, come un fuoco d’artificio che sembra possa continuare all’infinito, nella Camera chiara di Roland Barthes: ma rovesciabili in altre contrarie, a partire dal titolo. Che rovesciato nell’espressione camera oscura, non riassume così il senso che aveva di oggetto e fenomeno fisico, ma assume quello dell’inquietudine, fondamentalmente pirandelliana e con punte borgesiane, con cui Barthes si accosta alla fotografia.

Per Luigi Capuana e Giovanni Verga,



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