Dizionario del linguaggio dei fiori by António Lobo Antunes

Dizionario del linguaggio dei fiori by António Lobo Antunes

autore:António Lobo Antunes [Antunes, António Lobo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2023-06-26T10:59:53+00:00


14.

L’accordatore del pianoforte

Lo conobbi perché la dottoressa mi chiamò tramite una mia cliente per correggere un problema al pianoforte della sala da musica, disse proprio così, correggere un problema al pianoforte della sala da musica, perciò immaginai che la cosa dovesse aver luogo in un palazzo pieno di affreschi sul soffitto, scheletri di armature antiche in corridoio e domestici in livrea con la parrucca incipriata che illuminavano le scalinate con candelabri d’argento mentre in realtà era solo la casa colonica di una tenuta agricola e nemmeno tanto antica, nemmeno molto curata, nemmeno molto bella, che cadeva a pezzi per incuria e mancanza di denaro, con statue di ceramica sporca addossate a un muro che rappresentavano le quattro stagioni, la Primavera senza due dita e l’Inverno con il naso scheggiato, un roseto che stava in piedi per grazia di Dio e uno stenditoio sul retro dove una domestica in ciabatte, con la tasca del grembiule piena di mollette per stendere, appendeva camicie che tirava fuori a strattoni da una bacinella di plastica con un solo manico, sotto lo sguardo di un cane dagli occhi malinconici

(chi conosce un cane dagli occhi allegri alzi la mano)

intento a grattarsi l’orecchio con una zampa fiacca, oltre alla casa e a una dozzina di alberi, dove di sicuro pipistrelli che ne sono i frutti, un orto e una vigna abbandonati e poi campi di cui nessuno si occupava, un nido di cicogne che sgocciolava fango dalla sommità di un fienile e tetti in lontananza

(non esiste un posto al mondo senza tetti in lontananza)

la domestica che stendeva la biancheria interessata a me

– È lei quello che è venuto ad accordare il piano?

valutando la mia tuta da lavoro e lo zaino, si avvicinò alla veranda di legno davanti alla casa

– Dite alla signorina che è arrivato il meccanico

con gli occhi delle stagioni di ceramica, tutte in tunica e sandali, che mi guardavano di traverso, sebbene vuoti, una di loro con un uccello appollaiato sulla spalla, si udiva un treno in lontananza, non so dove, diretto verso il nulla che è la loro destinazione, e come tutte le volte che sento rumore di vagoni ferroviari mi venne in mente mia madre, con me bambino, alla stazione, dove un orologio con i numeri romani senza la lancetta delle ore, una bilancia e panche con una sola signora anziana seduta, mentre fuori platani che mormoravano senza posa

(tutte le volte che ci si avvicina tacciono, a partire da una certa età tutto tace, sono i misteri del mondo)

persone adulte in attesa e in quel momento molto fracasso, molto fumo, scintille di freni, il pavimento che tremava, un tizio col berretto a visiera che agitava una bandierina su e giù in mezzo a nubi di vapore che ce lo nascondevano, il treno enorme, immobile davanti a noi, tutto ruote e finestrini e facce di estranei che sorridevano dai vetri e in quel momento un uomo enorme, con una valigia, del quale non mi ricordavo, a venirci incontro, mentre mia madre mi



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