Il mio Carso by Scipio Slàtaper

Il mio Carso by Scipio Slàtaper

autore:Scipio Slàtaper
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 2015-07-31T16:00:00+00:00


III

Ho ritrovato il mio carso in un periodo della mia vita in cui avevo bisogno d’andar lontano. Camminavo spesso, lento, alle rive per veder la gente che partiva. Studiavo l’orario dei piroscafi Iloydiani, e se avessi avuto qualche centinaio di corone sarei andato in Dalmazia, a Cattaro, poi mi sarei arrampicato su fino a Cettigne, poi chissà? nell’intemo della Croazia dove c’è boschi immensi e bisogna cavalcare lunghe ore per arrivare a una casipola di legno bigio. Il pater familias è ancora l’antico ospite. Di notte, quand’uno non può dormire, sente un canto triste che lo culla. Forse piuttosto sarei andato nell’Oriente.

Guardavo i bragozzi ciosoti che con una gran spinta si staccavano, gonfi e carichi, dalla riva. Il padron della barca si levava la camicia per non infradiciarla di sudore, s’arrampicava sull’albero, e agganciandosi con la gamba sulla scala a corda sbrogliava la vela, giallastra a macchie mattone. Tutta la notte avrebbero corso l’Adriatico col borino, e poi un altro giorno, e un altro sotto il sole. Specialmente mi desideravo la piena calma marina, se il vento fosse cessato improvvisamente.

Avevo bisogno di star solo. Andavo per le strade poco frequentate, nell’ombra degli alti casamenti rettangolari, e mi guardavo intorno spiando di lontano il viso dei passanti. Temevo d’esser conosciuto, d’esser salutato, di dover salutare. Un amico mi mandò una cartolina:perchè non gli scrivevo? Poichè non vuoi, non vengo. Ma non è bello che tu sia così scontroso ed egoistico nel tuo dolore. Proprio ora l’amicizia ti farebbe bene. Tutte buone care persone: ma io ero in cerca di lontananza.

Stavo solo, nella mia stanzetta, e ogni sera sentivo battere lente le nove, poi le nove e mezzo, poi le dieci, poi le dieci e mezzo... Il tempo camminava come si va nei pomeriggi domenicali, portandosi addosso la noia di tutti gli uomini. E ogni notte sentivo passare una carrozza nella via, poi la voce di tutti i nottambuli che gridavano alla moglie o alla mamma per la chiave.

Ecco pensavo ora mi metto a leggere, piglio appunti, studio. Ma calavo la testa sulle braccia raggomitolate e non potevo piangere.

Non potevo dormire. Ero sotto l’incubo d’un’afa grave. E uno usciva di casa nella notte e camminava con passi stanchi. Sognavo di una lunga notte di bora, che i pochi viandanti camminano curvi contro di essa, senza pensare. Mi sognavo sopratutto di cedri infissi nel fondo del mare, che a poco a poco impietravano. Avevo bisogno di sassi e di sterilità. E mi ricordai del carso, e dentro ebbi un piccolo grido di gioia come chi ha ritrovato la patria.

Quante storie mi raccontai quella notte! M’ero sdraiato sul materasso poggiando la testa sul braccio destro, e ero un bimbo che aspettava con occhi aperti un po’ di lume alla fessura della porta e la mamma entrasse:

Non dor mi? È tardi. Dormi, dormi. Ti racconto una storia.

Avevo pietà e tenerezza per me stesso. E mi raccontavo a voce alta una storia del carso: Molti anni prima di noi una donna del carso con capelli biondi, aveva partorito un piccolo che tremava anche sotto la pelle d’orso.



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