Gli abissi by Pilar Quintana

Gli abissi by Pilar Quintana

autore:Pilar Quintana [Quintana, Pilar]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La Tartaruga
pubblicato: 2023-06-09T18:55:21+00:00


Da un momento all’altro le nuvole si diradarono. Uscì il sole, il cielo diventò azzurro e tutto si ravvivò, come quando si colora una foto vecchia. Le sagome delle montagne lontane, il verde dei boschi, i fiori del giardino, gli alberi, il prato perfetto, come se fosse di plastica…

Anita, la moglie del maggiordomo, ci servì il pranzo sotto la pergola. Si trovava accanto alla casa ed era in ferro battuto. Su una delle colonne si arrampicava una grande buganvillea, con il tronco grosso, pieno zeppo di fiori porpora, che in cima apriva i rami e faceva da tetto. Per pranzo c’erano fagioli con il riso, chicharrones, patacones e avocado. Anita, bianca come il marito, aveva i capelli neri riccioluti e un sorriso timido per tutto.

“Grazie, Anita.”

Sorriso timido.

“Molto buoni i fagioli.”

Sorriso timido.

Anita ci lasciò e mio padre mise la propria mano su quella di mia madre.

“Sei contenta?”

Il sole filtrava dai rami della buganvillea. Due farfalle rosse e un colibrì minuscolo svolazzavano attorno ai fiori. Il ruscello che scorreva all’interno della proprietà, con l’acqua che scendeva tra i sassi, aveva un suono lieve come di campanelle.

“Molto,” disse lei, con uno sguardo che voleva abbracciare la natura e le costruzioni. “Non è spettacolare questa casa?”

“Sì,” dissi.

Paulina, seduta a tavola con noi, di spalle al precipizio, con il suo faccino placido e le ciglia all’insù, sembrava compiaciuta quanto me.

All’imbrunire Porfirio scese in casa e chiuse le vetrate.

“Così non entra il freddo.”

Bastò dirlo perché entrasse. Un freddo umido che rendeva i vestiti, e tutto il resto, perfino l’aria che respiravamo, pesante. Eravamo nel soggiorno. Papà leggeva il giornale. La mamma, una rivista. Io, davanti al tavolo centrale, seduta per terra su un tappeto imbottito a pelo lungo, facevo un puzzle da duemila pezzi che avevo trovato nello studio. Un paesaggio europeo con una laguna, un mulino e dei cavalli.

“Accendo il caminetto?” chiese Porfirio.

“La prego,” rispose la mamma.

Papà andò con Porfirio nella sala adiacente e si misero a trafficare. La mamma disse che era ora di indossare i maglioni. Lasciò la rivista e si diresse verso le scale. Io avevo intenzione di fare altrettanto, ma quando mi alzai anch’io e tirai su lo sguardo, rimasi ipnotizzata. Ora sì che mancava poco al tramonto.

Il cielo si era coperto e la nebbia, spessa, fluttuava sulle cime delle montagne. Era una macchia bianca a forma di ameba. La vidi estendersi, avvicinarsi, arrivare alla casa e circondarla, come se non volesse rimanere fuori e cercasse le fessure delle porte o un qualsiasi altro varco da cui intrufolarsi.

Fuori diventò tutto bianco e dentro calò la penombra.

“Non sei andata a prendere il maglione?” mi disse la mamma quando tornò con il suo addosso.

La casa, fagocitata dalla nebbia, era un’altra. Stretta e smussata, una casa finta uguale a quelle della televisione.

“Dai, muoviti,” mi incalzò.

Andai di sopra a mettermi il maglione. La stanza delle bambine era grande. C’erano tre letti, ognuno addossato a una parete diversa, formando una u. Due bauli, tra i letti, facevano da comodini. C’erano mensole con bambole, giocattoli e l’enciclopedia El mundo de los niños.



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