Gli onorevoli duellanti by Giorgio Dell'Arti

Gli onorevoli duellanti by Giorgio Dell'Arti

autore:Giorgio Dell'Arti [Dell'Arti, Giorgio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2020-02-14T23:00:00+00:00


Capitolo IX

Sempre si dee trattare il nimico da nimico

Fausto da Longiano

“Qui ci vuole uno scrittore” gridò il direttore del “Corriere della Sera”, pensando a come avrebbe coperto i duelli, ormai imminenti, dell’onorevole Chiesa. Il direttore del “Corriere della Sera” era il celebre Luigi Albertini, marchigiano, di anni trentanove, sposato alla Piera figlia di Giacosa, scrittore, e famoso pure lui. Dirigeva il giornale da dieci anni e lo aveva portato al primo posto in Italia, battendo dopo un lungo testa a testa “il Secolo XIX”. “Chiamatemi Civinini” disse ancora, dato che Civinini stava a Roma e ci si poteva parlare solo al telefono.

Mentre gli cercavano Civinini, il direttore completò il suo editoriale, dedicato, appunto, ai duelli. Da esecrare, eppure inevitabili. Come rassegnarsi a risolvere faccende simili in tribunale, secondo l’idea dell’onorevole Turati (firmatario di una mozione)? “S’immagina l’onorevole Turati un processo tra il generale Fecia di Cossato e l’on. Chiesa, lo strazio d’un sentimento personale e del nome e della vita di una donna, tutta la brutalità del dibattimento?” Si potrebbe invocare una sentenza della Camera? “Ma come potrebbe la Camera assumere a sé il diritto della soluzione? La Camera è un’astrazione, di cui l’educazione dei deputati costituisce la realtà: i suoi giudizi avranno alto valore quando i deputati che la compongono dimostrino, senza distinzioni di partiti, una perfetta coscienza del loro ufficio. C’è già una simile Camera? Se domani si dovesse votare una severa censura, in parole e in atti, contro un deputato, non c’è quasi la certezza che voterebbero contro la censura tutti i deputati dello stesso partito o di partiti affini? Quand’è che si è dimostrato un giudizio chiaro, vivace, solenne, di biasimo e di biasimo severo sino ad essere punitivo, da compagni di partito verso questo o quel deputato pronto a trascinare ogni più delicata o più complessa questione nella baruffa e nell’insulto?”

Lo avvertirono che Civinini era al telefono, e smise di scrivere. Guelfo Civinini, più grossetano che livornese, ma in definitiva soprattutto romano, di anni trentasette, una faccia tutta spigoli, il monocolo all’occhio sinistro, la moglie mezzo negra. Aveva pubblicato poesie, vinto premi letterari e scritto il libretto della Fanciulla del West. Stava al “Corriere” da tre anni, grazie a una raccomandazione di Ugo Ojetti. Quando sentì che s’era pensato a lui per i servizi sui duelli, disse:

“Ma il duello Fecia-Chiesa è sfumato. Chiesa, sta pur sicuro, voleva mettersi a un chilometro di distanza e i padrini di Fecia lo hanno mandato a quel paese.”

“Si sono riuniti i padrini di tutti gli altri” disse il direttore “e hanno stabilito che, nell’attesa di capire come andrà a finire il duello con Fecia, si disputino intanto quelli con Prudente e con Morando.”

“Ah. E si sa quando?”

“No, ma potrebbe essere anche adesso. I duellanti sbrigano le loro faccende in genere di nascosto, per non esser sorpresi dalla polizia. Qui c’è di mezzo la politica e la polizia potrà poco. Ma pure dovrà farsi vedere. Quelli cercheranno in ogni caso un posto riparato. Ci sarà da scarpinare per pedinarli.”

“Che faccio?”

“Vai a Montecitorio, intanto.



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