Goodbye Kant! Cosa resta oggi della Critica della ragion pura by Maurizio Ferraris

Goodbye Kant! Cosa resta oggi della Critica della ragion pura by Maurizio Ferraris

autore:Maurizio Ferraris [Ferraris, Maurizio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Philosophy, History & Surveys, Modern
ISBN: 9788845297571
Google: oMe1tgEACAAJ
editore: Bompiani
pubblicato: 2018-10-15T09:26:22+00:00


Causa. A proposito della tesi della Causa, poi, c’è — e suona molto forte — l’obiezione di Strawson,191 secondo cui Kant confonderebbe la necessità materiale con la necessità intellettuale: cioè la circostanza che si diano cause nel mondo con il fatto che siamo capaci di riconoscerle e di spiegarle. È ben vero che con la Causa Kant mostra di possedere più frecce al proprio arco di quanto non avvenga con la Sostanza: il suo argomento è che, se urto un gessetto con una matita, il gessetto si sposta; se non possedessi un concetto apriori di "causa", è dubbio che potrei apprenderla per abitudine, giacché quello che vedo sono una matita e un gessetto, non una causa.

Dunque, almeno nella fattispecie, una qualche scienza va necessariamente presupposta all’esperienza, e si tratterà di una cognizione certa, essendo apriori. Ma proprio qui Kant sfrutta in modo indebito i molteplici significati di "causa", poiché una matita causa lo spostamento di un gessetto in un modo ben diverso da quello in cui il fumo provoca il cancro o l’ignoranza genera l’ingiustizia. Nel primo caso c’è un contatto fisico, nel secondo un processo, nel terzo un nesso puramente mentale. E, paradossalmente, proprio la prima causalità, quella che per Kant risulta paradigmatica dell’azione dell’intelletto sulla sensibilità, appare — in qualche modo — visibile, cioè sensibile. Vorrei chiarirlo con un aneddoto.

Nel 1943-1944, lo psicologo Wolfgang Metzger (1899-1979) era militare a Cassino. Un giorno andò al gabinetto nel baraccamento dove era alloggiata la sua squadra e, alla fine, tirò l’acqua. In quel preciso momento, una granata colpì la baracca, sicché parve a Metzger di essere stato lui, azionando lo sciacquone, a causare il disastro. Ora, Metzger vide la causalità, almeno se ci si mantiene al livello della descrizione soggettiva; per essere più neutrali, diciamo che la percepì.

Non sottostimiamo questo aneddoto, del resto comune nell’esperienza di Metzger192 come di altri.193 Che ne andasse del vedere e non del pensare, sembra confermato dal fatto che appaia a dir poco strano — se solo ci si riflette per un istante — che basti tirare uno sciacquone per provocare un’esplosione; tuttavia l’impressione risultò immediata, viva e incontestabile, vale a dire dotata della tipica evidenza che caratterizza la percezione sensibile. Insomma, Metzger vide una causa, anche se una frazione di secondo dopo pensò che fosse inverosimile. Difficile dunque sostenere, con Kant, che la causalità è un principio puro dell’intelletto: la causalità percepita è una cosa, ed è sensibile; la causalità pensata, un’altra. Quest’ultima non è un principio con cui l’intelletto costituisce l’esperienza; al massimo, la spiega, prima o poi e talora mai (il buco sulla giacca dipende dalla brace della sigaretta o dalle tarme?) Ma se spiega e non costituisce, allora potrebbe aver ragione Hume: la causa viene dall’esperienza. In realtà, neppure questo è vero: Metzger aveva avuto l’esperienza di una causalità inverosimile, cioè tale da contrastare tutto ciò che sino allora aveva appreso per esperienza.

Ecco un caso in cui due grandi filosofi possono trovarsi ad aver torto entrambi: la causalità è sì apriori (dunque



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