I 100 delitti di Milano by Ferro Andrea Accorsi Daniela

I 100 delitti di Milano by Ferro Andrea Accorsi Daniela

autore:Ferro, Andrea Accorsi, Daniela [Ferro, Andrea Accorsi, Daniela]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


51. Morte di un giudice scomodo

Il primo a dare la notizia fu il giornale radio delle nove. E suscitò enorme impressione. Quella mattina un commando di terroristi aveva assassinato il sostituto procuratore della Repubblica di Milano Emilio Alessandrini. Un giudice molto conosciuto dal grande pubblico, per le sue inchieste su piazza Fontana e sul terrorismo di sinistra.

I killer non gli avevano dato scampo. Attesero che il magistrato, come faceva ogni mattina, accompagnasse in auto, una Renault 5, il figlio Marco, di otto anni, alla scuola elementare in via Colletta, per poi recarsi al lavoro, in tribunale. Sapevano che, appena partito, all’incrocio tra viale Umbria e via Tertulliano si sarebbe dovuto fermare al semaforo, dove a quell’ora di punta si formava sempre la coda. In quattro avevano circondato la sua auto. Fece appena in tempo a vederli, a chiedere cosa volessero, prima che gli scaricassero addosso il piombo nelle pistole. I colpi esplosi, in tutto otto, si sentirono fino alla scuola del figlio.

Compiuto il blitz, gli attentatori salirono sull’auto guidata da un complice, lanciando alle loro spalle un fumogeno di colore arancione, per creare confusione e per nascondere alla vista se stessi e la targa dell’auto, così da non essere intercettati prima di cambiarla, lì vicino. Per una triste coincidenza, il magistrato di turno che arrivò sul posto era Armando Spataro, amico fraterno della vittima. Tutto questo accadeva lunedì 29 gennaio 1979.

Alessandrini sapeva di rischiare la vita. Più di un anno prima, nel covo di via Negroli usato da Corrado Alunni, uno dei leader di Prima linea, era stata trovata una sua foto. Eppure il magistrato girava senza scorta. «A che serve?», aveva detto a un giornalista, allargando le braccia e ricordando quello che era successo al collega magistrato di Genova Francesco Coco e a Moro. Insomma, Alessandrini era consapevole di aver intavolato una partita con la morte. Ma non per questo aveva rinunciato a portare avanti il proprio lavoro.

«Alessandrini per noi rappresentava lo Stato», spiegherà uno dei suoi assassini, «la magistratura che gestiva le leggi di emergenza e che aveva accettato la delega da parte della politica per contrastare i movimenti e sconfiggere le organizzazioni armate». In realtà Alessandrini era una spina nel fianco dell’eversione. Si era occupato della “madre di tutte le stragi”, quella di piazza Fontana, dopo che l’indagine era stata trasferita a Milano, e per primo aveva scoperto la pista giusta, quella che portava al Veneto e a Ordine nuovo. E aveva intrapreso, nell’altra direzione politica, l’inchiesta che avrebbe presto contribuito a decapitare Autonomia operaia con gli arresti del 7 aprile seguente.

Per capire meglio il terrorismo di sinistra, Alessandrini non si limitò a esplorarlo sul piano giudiziario, ma si spinse su quello sociale, partecipando a convegni e incontri pubblici. Non basta. Il magistrato fu chiamato a far parte di una delle commissioni consultive istituite dal ministero di Grazia e Giustizia per la riforma dei codici e coordinava, con Guido Galli, una ricerca su “Violenza armata e terrorismo come mezzo politico”, affidata dal Consiglio nazionale delle ricerche al Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale.



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