Tempi felici by Unknown

Tempi felici by Unknown

autore:Unknown
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 6cbd15f80bc6e6a4a027db73d89bb2663d7fa526
editore: Adelphi


Il giorno dopo Beregi attese il ritorno della donna per tutta la sera, ma lei non si fece vedere. Verso le due di notte si stufò di aspettarla e si coricò. La Mikucz non comparve neppure l’indomani. «Di sicuro se l’è data a gambe» pensò Beregi. O forse se n’era andata a Buda; i russi dovevano essere alle porte perché i colpi dei carri armati sembravano quasi sotto le finestre, o comunque nelle vie adiacenti.

Non si sentiva a suo agio da solo nell’appartamento. Si era dimenticato di ricaricare la stufa e la fiamma continua si era spenta. Senza indugio, prese una delle valigie e si guardò intorno per decidere cosa portar via. In realtà gli interessava solo la roba da mangiare, conserve, formaggi, dolciumi; non toccò nient’altro. Era chiuso in casa dall’esterno, con il lucchetto, e la finestra sul cortile era munita di inferriata; ma quella del bagno dava su un angusto cavedio e di lì poté uscire. Ruppe il vetro di un’altra finestra e si ritrovò nel retro di un negozio. La saracinesca era stata forzata e riuscì a sgusciarvi sotto.

A quell’ora del primo pomeriggio la via era deserta. Rifletté su dove andare: gli venne in mente Karolin, la donna presso la quale aveva trascorso le settimane prima di Natale. Ma Karolin abitava in Vilmos császár út, che ormai doveva trovarsi oltre la linea del fronte. Così finì per avviarsi lungo Prohászka Ottokár utca e all’altezza della chiesa svoltò a sinistra, verso Reáltanoda utca. Vide carcasse di cavalli sul selciato, edifici semidistrutti, un palazzo accanto all’albergo completamente abbattuto. Da Kálvin tér giungevano gli echi di un violento combattimento: mitra che crepitavano e scoppi di granate. Avanzò rasente al muro; da Kossuth Lajos út, preceduta da un gran rumore di cingoli, sbucò una lunga colonna di carri con la torretta chiusa, diretta verso il ponte. Poco più in là alcuni soldati tedeschi dalla corporatura asciutta, in tuta mimetica, stavano calando un cannone antiaereo dal tetto del palazzo Franklin, con una carrucola; Beregi si avvicinò al gruppetto e offrì una sigaretta a uno di quei militari scarmigliati.

«Was ist, bitte schön?».

Il tedesco rifiutò con un borbottio e continuò a tirare la fune, sudando, poi gridò qualcosa verso l’alto. Beregi accese la sigaretta per sé e proseguì per la sua strada. Il portone dello stabile di Reáltanoda utca era chiuso: cominciò a tempestarlo di pugni.

Dopo un bel pezzo si udì il cigolio della chiave nella serratura e apparve Gyulavári. Fissò il nuovo arrivato con gli occhi sbarrati, come se fosse tornato dall’aldilà, ma non disse niente e lo fece entrare. Beregi attraversò di corsa il cortile, scese nello scantinato e andò verso le legnaie. Nelli sedeva ancora lì, tutta sola nell’angusto stanzino. Quando lo vide, balzò in piedi portandosi le mani al petto, poi sollevò un lumino al viso dell’uomo.

«Ma... sei ancora vivo?».

«Non dovrei esserlo?».

Nelli gli saltò al collo piangendo. «Oh, farabutto che non sei altro! Fatti vedere! Dove sei stato?...».

«Dopo ti racconto...» mormorò Beregi mentre posava sul letto la valigia e l’apriva.

«Ma tu vieni dalla casa della Mikucz!» esclamò Nelli.



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