Americanah by Chimamanda Ngozi Adichie

Americanah by Chimamanda Ngozi Adichie

autore:Chimamanda Ngozi Adichie [Adichie, Chimamanda Ngozi]
La lingua: ita
Format: epub, azw3, mobi
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788858415702
Google: FHIPBAAAQBAJ
editore: Einaudi
pubblicato: 2014-09-22T22:00:00+00:00


Capitolo ventiquattresimo

Tutti scherzavano sulla gente che andava all’estero a pulire i gabinetti, e cosí Obinze affrontò il suo primo lavoro con ironia: era davvero all’estero a pulire i gabinetti, con tanto di secchio e guanti di gomma, in un’agenzia immobiliare al secondo piano di un edificio londinese. Le porte a battente degli scomparti parevano sospirare ogni volta che le apriva. La bella ragazza che puliva i gabinetti delle donne era ghanese, aveva circa la sua età e la pelle scura piú lucente che avesse mai visto. Avvertiva, dal suo modo di parlare e di fare, un passato simile al suo, un’infanzia confortevole con una buona famiglia, pasti regolari, sogni che non contemplavano l’idea di pulire i gabinetti a Londra. Ignorava i suoi gesti amichevoli dicendo solo: «Buonasera» nel modo piú formale possibile, ma era amica della bianca che puliva gli uffici al piano di sopra, e una volta le vide in un caffè deserto che bevevano tè e parlavano a voce bassa. Rimase a guardarle per un po’, mentre in testa gli scoppiava un gran risentimento. Non che lei non volesse amicizia, piuttosto non voleva la sua. Forse nella situazione in cui si trovavano l’amicizia era impossibile perché lei, ghanese, e lui, nigeriano, erano troppo simili; lui conosceva le sue sfumature, mentre la polacca le dava la libertà di reinventarsi, di essere chi voleva.

I gabinetti non erano male, qualche schizzo fuori dall’orinatoio, qualche sciacquone tirato a metà; pulirli era molto piú facile di quanto doveva essere pulire i gabinetti del campus giú a Nsukka, con i muri imbrattati di strisce di merda che lo avevano sempre spinto a chiedersi perché qualcuno si prendesse tutto quel disturbo. E quindi rimase scioccato quando, una sera, entrò in uno scomparto e trovò uno stronzo sulla tavoletta del water, solido, affusolato, centrato come se lo avessero collocato con cura, misurando il punto esatto. Sembrava un cucciolo acciambellato su uno zerbino. Era una performance. Pensò che gli inglesi avevano la fama di essere repressi. La moglie di suo cugino, Ojiugo, aveva detto una volta: – Puoi avere un inglese come vicino di casa per anni ma non ti saluterà mai. È come se fossero abbottonati –. C’era, in quella performance, una specie di sbottonamento. Qualcuno che era stato licenziato? Gli avevano negato una promozione? Obinze fissò quel mucchietto di merda per un bel po’, sentendosi sempre piú piccolo, finché non gli parve un affronto personale, un pugno alla mascella. E tutto per tre sterline l’ora. Si tolse i guanti, li posò accanto al mucchietto di merda e lasciò l’edificio. Quella sera, ricevette una mail da Ifemelu. «Ceiling, non so neppure come cominciare. Ho incontrato Kayode oggi al centro commerciale. Dire che sono dispiaciuta per il mio silenzio sembra stupido perfino a me, ma sono davvero dispiaciuta e mi sento davvero stupida. Ti dirò tutto quello che mi è successo. Mi sei mancato e mi manchi».

Guardò imbambolato la mail. Era ciò che desiderava, da tanto tempo. Avere sue notizie. Quando lei aveva smesso di scrivergli, si



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