I maledetti by Camillo Langone

I maledetti by Camillo Langone

autore:Camillo Langone [Langone, Camillo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Scienze sociali, Cultura popolare
ISBN: 9788884272058
Google: b2XPRwAACAAJ
editore: Vallecchi
pubblicato: 2010-09-14T22:00:00+00:00


Campana il Progressivo

Giordano Tedoldi

Non è un viaggio chiamato amore e non è nemmeno la notte della cometa, la vita e l’opera di Dino Campana. Quelle sono le bellurie volgari, squallide, del mondo del cinema e della letteratura di rapina. È una vicenda dolorosa, sanguinante, che come la ferita di Amfortas, il cavaliere del Graal che ha ceduto alla lussuria, non smette di buttare sangue. È la vicenda di come, nell’Italia squassata dalle prime avanguardie novecentesche e dalle bombarde che staccavano braccia di netto, poté nascere un sogno poetico più esplosivo della prima grande guerra mondiale, più profondo e brunito e squillante del grammofonico d’Annunzio, più filosofico e sapiente dell’estetica crociana maestra di future generazioni di arroganza professorale. Le torri colossali dei versi di Campana che il sensibile Cardarelli confessò di non aver la sensibilità di capire, erano evocazioni che squarciavano il buio dopo un bacio taciturno. Città d’acciaio, come ne aveva sognate Baudelaire, che non nascevano da estasi superomistiche e megalomani, gli strilli dello sgorbiforme Papini sulla «Voce», le fanfaronate del dilettante cubista Soffici, ma da struggimenti raccolti in un sentimento puro. «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio», dice l’apostolo Matteo. Ma sbaglia. Beati i puri di cuore perché vedranno sopra una collina fiorita la bianca rettangolare costruzione del manicomio, ultima torre tra le tante che costellano l’immaginazione del poeta malato di nefrite Dino Campana, torre sanitaria nella quale entrerà all’età di trentaquattro anni e dove troverà riparo da Sibilla Aleramo pronta a spremere gli amplessi in romanzi profumati all’odore di carne umana. Ma quale incompreso, Campana incompreso non lo fu affatto, al contrario, fu compreso fin troppo bene e dunque come gli disse una volta il piccolo “camorrista” Papini ricevendo il selvatico poeta di Marradi in uno di quei caffè fiorentini che usava come suoi uffici editoriali: «Mi aspettavo da lei di più, ma comunque assai bene», che è come dare un’affettuosa pacca all’autore del Più lungo giorno, la prima versione del prosimetro che poi diverrà i Canti Orfici, da parte di un fesso che la storia culturale italiana ricorda solo per gli occhialini tondi e il bulbo facciale da masturbatore, perfetta effigie del futurista ideale. Ai mediocri è dato di essere fraintesi e infatti quanti di loro si lamentano di non essere compresi, di non ricevere le dovute attenzioni critiche, di aver scritto troppo presto, o troppo tardi, o aver pubblicato con l’editore sbagliato. Nessuna di tali geremiadi compare nel pur ampio catalogo di lamentazioni di Campana. Campana sempre e soltanto si maledì di una cosa: essere venuto al mondo. Essere qui. Fu lui il suo primo persecutore, fu lui che si marchiò da solo d’infamia, «si presenti alle Giubbe Rosse vestito di pelle di capra – lo incoraggiava Carlo Carrà – farà colpo sui futuristi!», senza avvedersi che la pelle nuda di Campana era naturalmente più ruvida e spessa di quella del Minotauro. «Bevo l’acqua dalle fonti alpestri come un fauno» scrive Dino in una delle sue lettere dai monti di Marradi da dove saliva



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