I sopravvissuti del volo 305 by A. G. Riddle

I sopravvissuti del volo 305 by A. G. Riddle

autore:A. G. Riddle [Riddle, A. G.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Thrillers, Science Fiction, General, Fiction
ISBN: 9788854196155
editore: Newton Compton Editori
pubblicato: 2016-08-31T22:00:00+00:00


Capitolo ventisette

Nick

Mezz’ora dopo, do un altro sguardo a Heathrow – o ciò che ne rimane – e passo il binocolo a Grayson.

Gli edifici dell’aeroporto cadono a pezzi, ci sono cumuli di cemento, acciaio e vetro franati a terra. Qui e là si vedono frammenti dei segnali colorati che un tempo guidavano la gente all’interno dell’aeroporto più affollato d’Europa: pezzettini di rosso, blu e verde che tappezzano i cumuli grigi. Il colore predominante, però, è una diversa sfumatura di verde. La vegetazione si sta lentamente riprendendo i suoi spazi. Piante, erbacce e muschio avanzano lungo le rovine sconnesse, ma gli alberi devono ancora farsi strada. Forse, sorgeranno nei prossimi anni, quando il vento, la pioggia e la neve avranno polverizzato i resti di Heathrow, trasformandoli in una superficie simile a un terreno fertile.

Al di là degli edifici, troviamo il punto d’origine della luce – tre lunghe tende bianche, fantasmi luminosi in un mare d’erba. È difficile dirlo da questa distanza, ma credo che, messe assieme, siano grandi quanto un campo da calcio. Da lì si innalza un morbido alone di luce che, nella notte, crea un atmosfera un po’ spettrale.

Hanno tagliato l’erba su una delle lunghe piste di atterraggio – probabilmente in attesa del volo 305. All’inizio lo giudico un segno positivo, ma poi l’ottimismo che è sorto in me quando ho visto la luce inizia a svanire. Accanto alle tende, alla fine della pista liberata dalle erbacce, incombono tre navicelle, tutte con il rivestimento argenteo solcato da grandi segni scuri – cicatrici delle due battaglie a cui abbiamo assistito, e chissà di quante altre. Sono tutte lunghe una trentina di metri, mi pare, e alte forse sei. Ancora mi domando come facciano a volare. E, cosa più importante, se quegli esseri là dentro siano amici o nemici. Qui, immersi nello scuro mare d’erba delle rovine di Heathrow, non abbiamo nessun indizio che ci permetta di capirlo.

Per un po’ io e Grayson rimaniamo fermi davanti ai resti arrugginiti di un recinto con filo spinato crollato a terra. Alla fine lo superiamo, con attenzione, e ci dirigiamo verso le tende.

«Cosa vuoi fare?», Grayson parla a voce bassa.

Anche se è difficile che possano sentirci da laggiù, anch’io rispondo piano, in un sussurro agitato. «Cerchiamo un riparo e nascondiamoci. Aspettiamo di capire che cosa sta succedendo».

Dieci minuti dopo, abbiamo preso posizione dietro un grande aero a fusoliera larga fuori uso, un modello che mi è del tutto sconosciuto. Il tempo lo sta lentamente gettando tra le braccia del terreno – come fa anche con l’aeroporto, e con Londra stessa. Io e Grayson facciamo a turno per spiare l’accampamento oltre quell’ammasso di ferraglia. Rimaniamo stretti l’uno all’altro, in modo da intrappolare il calore.

Vorrei davvero dormire un po’, ma non ci riesco. Sono troppo nervoso, troppo infreddolito, troppo dolorante.

Seduto con la schiena appoggiata alla parete metallica dell’aeroplano, alzo lo sguardo. Comincia a piovere. È solo una pioggerella, niente a che a vedere con lo scroscio gelido e martellante che abbiamo sopportato durante la pedalata. Ne avrei fatto volentieri a meno, però.



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