Il grande imbroglio by Mariana Mazzucato & Rosie Collington

Il grande imbroglio by Mariana Mazzucato & Rosie Collington

autore:Mariana Mazzucato & Rosie Collington [Mazzucato, Mariana & Collington, Rosie]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: i Robinson / Letture
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2023-10-15T00:00:00+00:00


Il valore per l’azionista nelle società quotate in borsa

Anche nelle società di consulenza quotate in borsa la remunerazione dei dirigenti è legata in parte alla crescita dell’azienda, sotto forma di premi azionari che incentivano i manager a far crescere i profitti, anche se l’individuo e l’azienda si assumono rischi limitati. La teoria alla base della retribuzione dei manager tramite azioni risale agli anni Ottanta, quando alcuni studiosi di management iniziarono a sostenere che un dirigente d’impresa sarebbe stato più propenso a prendere decisioni utili a produrre un incremento dei profitti per l’azienda se avesse subito direttamente le conseguenze di uno scarso rendimento e avesse beneficiato direttamente di un andamento positivo23. Era un approccio che rientrava nel quadro della «teoria dell’agenzia», che parte dal presupposto che gli esseri umani agiscano principalmente nel proprio interesse economico e che siano quindi necessari incentivi specifici per fare in modo che diano la priorità agli interessi economici più generali dell’azienda o dei suoi proprietari. Ormai, gli azionisti esterni erano diventati centrali nella struttura finanziaria di molte società e l’idea che la massimizzazione del valore per l’azionista fosse il motore più efficace della crescita aziendale era diventata predominante. Secondo l’economista William Lazonick, questa visione si basa sul presupposto che, «di tutti i soggetti che sono parte di un’impresa commerciale, gli azionisti sono gli unici operatori economici che apportano contributi produttivi senza un rendimento garantito»24. In altre parole, si presume che in una società quotata in borsa siano gli azionisti ad assumersi il rischio maggiore, perché hanno investito nella società tramite l’acquisto di quote, e quindi che siano loro ad avere diritto più degli altri al guadagno (cioè gli utili, se e quando ci sono)25. I fautori di questa tesi sostengono che il rapporto tra dirigenti d’impresa e azionisti è «disseminato di interessi contrastanti» perché «i pagamenti agli azionisti riducono le risorse a disposizione dei manager, e di conseguenza il potere che possono esercitare»26. Per ridurre il più possibile i rischi di agenzia (vale a dire il disallineamento tra gli interessi degli azionisti e quelli dei dirigenti) è opportuno che i manager ricevano parte della loro retribuzione sotto forma di premi azionari.

I sostenitori di questa teoria erano consapevoli che una conseguenza sarebbe stata che gli obiettivi di profitto, nella maggior parte dei casi, avrebbero prevalso su altri interessi, come ad esempio gli scrupoli morali delle persone che rivestivano cariche direttive. In altre parole, avevano capito che la possibilità di guadagnare di più avrebbe potuto orientare i comportamenti dei dipendenti in una direzione utile a far crescere i profitti dell’azienda. Nondimeno, l’idea che queste maggiori ricompense (cioè il sistema di remunerazione basato sulle azioni) fossero giustificate dal fatto che anche questi operatori si assumevano un rischio maggiore si basava in partenza su una visione molto ristretta di cos’è il rischio. Nelle imprese private e nella pubblica amministrazione, i dipendenti «si fanno carico del rischio quando si impegnano nel loro lavoro [...] con l’idea di condividere i guadagni futuri» (non importa se di natura economica o sociale)27.



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