Accabadora by Michela Murgia

Accabadora by Michela Murgia

autore:Michela Murgia
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-03-29T16:00:00+00:00


Quando Giannina Bastìu tornò nel cortile con il vassoio del caffè fumante in mano, Nicola era solo nel sole in mezzo a tre sedie vuote, e aveva uno strano sorriso.

Capitolo undicesimo

Le anime ci conoscono, sono dei nostri parenti, e quindi non ci faranno del male, perché gli abbiamo cucinato anche la cena. Andrìa Bastìu a questo pensava, mentre si preparava alla notte del primo di novembre nella sua stanza. Si tolse le scarpe che usava in campagna, ma rimase vestito, che di dormire non aveva nessuna intenzione. L'anno precedente la madre lo aveva fatto stancare apposta tutto il giorno a raccogliere patate, e a sera si era addormentato senza volerlo, tradito dal corpo. Ma stavolta non l'avevano fregato, era sveglio e avrebbe visto le anime mangiare e prendere il tabacco trinciato lasciato sulla tavola, dove la mattina si trovavano impressi i segni delle dita. Così avrebbe saputo cosa rispondere a Maria, quando diceva che le anime non andavano in giro a tormentare nessuno, che la misericordia di Nostro Signore Gesù Cristo non lo permetteva. Se Nostro Signore Gesù Cristo aveva permesso che suo fratello perdesse una gamba, figurarsi se non permetteva ai morti di mangiarsi due culurgiones.

Per questo in silenzio si era messo seduto su uno scannetto di ferula che usava da bambino, e che gli faceva sentire i chiodi sul culo, restando davanti allo spiraglio della porta con la determinazione della sentinella al confine. Dopo venti minuti il sonno già lo lusingava, ma Andrìa rimase acquattato dietro l'anta socchiusa, deciso a tenere sott'occhio la linea del corridoio che portava dall'uscio esterno alla mensa imbandita, in attesa delle anime dei morti. Di anime in quella notte ne vanno in giro tante, gliel'aveva detto Nicola, che l'anno precedente aveva visto persino l'anima di Antoni Juliu, il fratello grande della madre, che camminava per la strada verso casa loro. Antoni Juliu era andato emigrato nella miniera in Belgio, e ogni volta che tornava non sembrava nemmeno fosse a casa sua: si guardava attorno come uno che avesse creditori, e il nero del carbone da sotto le unghie non gli andava mai via. Non era felice di partire, ma di tornare ancora meno. Si era impiccato nel podere dei Gongius la terza estate, facendo venire un colpo ai mezzadri che lo avevano trovato appeso al ramo come una pera marcia, con la lingua di fuori, emigrato da sé stesso verso chissà dove.

Magari sarebbe venuto proprio Antoni Juliu, quella notte. C'era il piatto preparato apposta con il bicchierino di abbardente vicino, che l'acquavite gli piaceva, e tanto anche. Se non fosse venuto a berlo, l'indomani lo avrebbe bevuto suo padre prima di pranzo, o Nicola, che Dio sa se ne aveva bisogno. Ma non poteva essere l'anima di Antoni Juliu la figura che percorreva il corridoio nera come una bestemmia, sfilando innanzi alla porta di Andrìa con un fruscio di gonna. Non poteva essere di suo zio quel capo coperto dal fazzoletto nero, quel passo sicuro di persona che non aveva mai lasciato la sua terra per bisogno.



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