Kadath by Howard P. Lovecraft

Kadath by Howard P. Lovecraft

autore:Howard P. Lovecraft [Lovecraft, Howard P.]
Format: epub
Tags: Fantasy
editore: 1994
pubblicato: 1994-01-11T22:00:00+00:00


8.

Nel lontano Nord, quasi in quel Gelido Deserto la cui esistenza gli abitanti di Inganok rifiutavano di ammettere, c'era una miniera abbandonata più grande di tutte le altre. Una miniera che, in un tempo ormai dimenticato, produceva blocchi e massi talmente incredibili che la vista del posto lasciato da loro vuoto, enorme e segnato dagli scalpelli, riempiva di terrore tutti quelli che lo guardavano.

Chi avesse scavato quei blocchi mastodontici o se fossero stati trasportati da qualcuno, nessuno poteva dirlo; ma sicuramente era meglio non indagare su quella miniera in cui potevano aleggiare memorie non appartenenti all'uomo. Per questo veniva lasciata a se stessa nel crepuscolo, mentre il corvo e il leggendario uccello Shantak meditavano tra le sue immensità.

Quando Carter sentì parlare di quella miniera, divenne profondamente pensieroso in quanto sapeva, per via di antichi racconti, che il castello dei Grandi Antichi che si trova sullo Sconosciuto Kadath, era fatto d'onice.

Giorno dopo giorno, il sole diventava sempre più basso, e le nebbie cominciavano a coprirlo quasi del tutto. Nel giro di due settimane la luce scomparve definitivamente, a parte una grigia luminescenza crepuscolare e soprannaturale che di giorno filtrava dalla cupola di nuvole eterne, mentre una gelida fosforescenza senza stelle si irradiava di notte sotto di essa.

Il dodicesimo giorno venne avvistato un grosso isolotto roccioso, la prima apparizione di terraferma da quando la vetta nervosa dell'Aran era scomparsa dietro la nave.

Carter chiese al capitano come si chiamasse quell'isola, ma gli fu risposto che essa non aveva nome e che nessun vascello le si era mai avvicinato per via di certi strani suoni che si udivano di notte.

E quando, dopo il crepuscolo, si alzò un ululato cupo e continuo da quella massa granitica, il viaggiatore fu ben lieto che non si fossero fermati e che essa non avesse nome.

I marinai pregarono e cantarono fino a che il rumore non scomparve dalle loro orecchie, e Carter, durante la notte, ebbe orribili incubi nei sogni.

Due giorni dopo avvistarono a prua, verso Est, il contorno di alte montagne grigie le cui vette si perdevano nelle immutabili nuvole di quel mondo crepuscolare. Alla loro vista i marinai cominciarono ad intonare allegre canzoni, e qualcuno si inginocchiò sul ponte a pregare. Allora Carter comprese di essere arrivato nella terra di Inganok, e che presto si sarebbero ormeggiati alle banchine di basalto della grande città che aveva lo stesso nome del paese.

Verso mezzogiorno apparve un tratto scuro di costa e, prima delle tre, spuntavano già verso Nord le cupole a bulbo e le fantastiche guglie della città d'onice. Unica e misteriosa, quell'arcaica città si innalzava sulle sue mura e sui suoi moli, tutta nera e abbellita con volute, scanalature e arabeschi in oro intarsiato. Le case erano alte e con molte finestre, e sui muri erano stati scolpiti fiori e volute le cui cupe simmetrie colpivano l'occhio con una bellezza più abbacinante della luce stessa.

Alcune terminavano con cupole che si aprivano a bulbo per poi rastremarsi sulla cima; altre con piramidi a terrazza sulle quali spuntavano miriadi di minareti che mostravano ogni possibile stranezza e fantasia.



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