La breve passeggiata by Alberto Vigevani

La breve passeggiata by Alberto Vigevani

autore:Alberto Vigevani [Vigevani, Alberto]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Sellerio Editore
pubblicato: 2021-05-03T22:00:00+00:00


Dopo la caduta del fascismo e la breve illusione d’una prossima pace – già Jole e Giorgetto speravano che presto avrebbero riabbracciato Sergio –, arrivarono i tedeschi. Subito si propagò la voce degli assassinii perpetrati da Gestapo e SS a Meina, dove, in un albergo sul lago, furono massacrate intere famiglie di ebrei. Ricordo qualche nome che mi era noto: De Benedetti, Misrachi... Cadaveri galleggiavano a pelo dell’acqua: donne, vecchi, bambini. Erano risospinti a riva dalla corrente.

In ritardo e angosciati, gli zii, che conoscevano bene i Misrachi – come io ero amico del novantenne nonno e padre dei De Benedetti, Ernesto Reinach, finito poi ad Auschwitz –, pensarono di rifugiarsi in Svizzera, dove Giorgio, senza fare in tempo ad avvertirli o a indicargli la strada, ma incaricando Luisa, la figlia maggiore, di assisterli affettuosamente in qualsiasi modo, li aveva preceduti, seguendo Anna e me.

Via via che la memoria li cercava, ogni particolare della vicenda che avevano vissuto riemergeva, dopo ch’era stato cancellato sotto la polvere degli anni. Sperduti, terrorizzati, erano corsi qua e là, in una sorta di frenesia che li accecava. Avevano chiesto consiglio a questo o a quello, tra i pochi che fu possibile contattare in tali momenti. Senza saper concertare un piano, anzi cambiandolo tutti i giorni, privi di sicure informazioni. Erano come topi spaventati, non avevano alcuna consuetudine con la latitanza, la clandestinità; la loro semplice vita si era svolta alla luce del sole, in assoluto rispetto della legalità.

Soprattutto, nonostante le continue conferme che arrivavano da ogni parte, penso che nell’intimo non credessero pienamente, riguardo a loro (non fossero altri Misrachi, altri De Benedetti), a quelle, in Italia e allora, inimmaginabili atrocità. Invece di spingerli a un’immediata fuga, ogni mattino, appena cominciava una nuova giornata, un torpido, pigro, inconfessabile fatalismo li induceva a negare la realtà. Insignificanti, vaghi timori li assalivano, al posto dell’unico incombente che avrebbe dovuto persuaderli a non perdere un minuto, ad assumere rapide decisioni.

E, inoltre, c’era il cognome straniero, indizio troppo facile, unito alla remissiva, non più arguta, faccia ebraica di lui. Li impauriva, quasi fosse un deliberato, incontestabile uscire dalla legalità, dover usare i documenti falsi che Luisa era riuscita a provvedere: nemmeno aveva ottenuto che raggiungessero Lanzo d’Intelvi e di là, appoggiandosi ad amici fidati, la Svizzera. Alcuni conoscenti, forse altrettanto spaventati, non si facevano trovare, già fuggiti o nascosti chissà dove. Altri davano pareri, consigli contraddittori, a volte intinti d’ottimismo fuori luogo, mentre avrebbero avuto necessità d’essere esortati a un fattivo pessimismo. Teneramente, quasi puerilmente – in quelle durissime circostanze –, il loro animo continuava a rifiutare persino l’esistenza d’una simile crudeltà gratuita. Senza osare dirlo, gli avveniva di credere che l’eccidio di Meina fosse stato un fatto isolato, opera di criminali: non si sarebbe ripetuto, il Papa doveva intervenire. Poi il terrore li riprendeva: bastava una voce magari falsa, o amplificata nel passare da uno all’altro.

In quella frenetica, esasperata ricerca d’aiuto – il loro appoggio maggiore, Giorgio, era venuto a mancare – finirono dal suo avvocato, antifascista da



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