La corona contesa by Elizabeth Chadwick

La corona contesa by Elizabeth Chadwick

autore:Elizabeth Chadwick [Chadwick, Elizabeth]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Tre60 libri
pubblicato: 2021-04-01T04:00:00+00:00


29

Argentan, maggio 1139

Matilde guardò, con un misto di tristezza e divertimento, Roberto il sarto che copriva i capelli rossicci di Enrico con una cuffia di lino e ci sistemava sopra una cotta di maglia leggera e un camaglio a misura di bambino. Ce n’era uno anche per Hamelin, il fratellastro di Enrico.

«Ora sono un grande cavaliere.» Enrico sguainò la spada giocattolo e si mise in posa. Indossava una versione in miniatura della tunica trapuntata degli uomini d’arme.

«È proprio così.»

«Come il mio papà.»

Matilde inarcò un sopracciglio ma si astenne dal commentare. Un giorno suo figlio avrebbe superato in grandezza il genitore, e anche il nonno. Se ne sarebbe assicurata lei.

«Anch’io sarò come papà», disse Hamelin. Aveva due anni più di Enrico, era più alto e robusto. I capelli non avevano lo stesso rosso vivace del fratello minore e gli occhi erano ben separati e color nocciola screziato di verde, come quelli di sua madre. Matilde l’aveva accettato in famiglia senza cattiverie. Quel bambino si sarebbe lasciato plasmare. E lei voleva trarne un compagno, un aiutante e un leale attendente militare per Enrico.

«Ma io sarò il duca e il re, e tu sarai il mio vassallo», disse Enrico. «Dovrai promettere di obbedirmi e combattere per me, e io ti darò in cambio terre e doni.»

Hamelin s’incuriosì. «Che genere di doni?»

Enrico agitò una mano in aria. «Castelli, spade, cavalli, armature.»

Hamelin si toccò il camaglio di maglia metallica e gli si accesero le pagliuzze verdi negli occhi. «Voglio un grande cavallo nero», disse. «Come quello di papà.»

Corsero al loro gioco, che consisteva nell’assediare un castello immaginario, e furono raggiunti da alcuni dei figli più piccoli di suo fratello Roberto. Matilde strinse le labbra. Avrebbe dovuto tenere d’occhio Enrico e stroncare sul nascere qualsiasi inclinazione allo sperpero. Non voleva che suo figlio diventasse un uomo debole alla mercé dei baroni che l’avrebbero prosciugato per poi abbandonarlo. Doveva imparare a essere astuto e a costruire affinità, e ad applicare il principio del divide et impera. Storse le labbra, pensando a Stefano. Quell’uomo non aveva idea di come si governa un reame. Tutta la ricchezza accumulata dal padre di Matilde si stava riversando fuori dei forzieri come sangue da un’arteria squarciata mentre Stefano tentava di tenere insieme le fazioni di corte. Essere un re non significava compiacere gli altri, ma dominarli.

Un messaggero fu condotto alla sua presenza e, inginocchiandosi, le consegnò un fascio di pergamene. Gli occhi di Matilde si posarono sul sigillo di Ulgero, vescovo di Angers, mentre congedava il messaggero. Era la notizia che aspettava, e sentì accelerare il respiro. Il vescovo era stato a Roma per il Concilio Laterano e aveva presentato una petizione per deporre Stefano. Matilde aveva inviato ricchi doni alla delegazione, insieme alle sue suppliche: reliquiari, una pisside d’oro, cofanetti di franchincenso e un manto tessuto in panno d’oro e ricamato con rubini tratti dal tesoro che aveva portato con sé dalla Germania. Stefano aveva inviato una sua delegazione a perorare la sua causa sotto gli auspici del decano dei vescovi, e certamente doveva aver mandato doni analoghi ai suoi, senza lasciare nulla al caso.



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