La democrazia come violenza by Anonimo ateniese
autore:Anonimo ateniese
La lingua: ita
Format: epub, azw3
ISBN: 9788838902048
editore: Sellerio editore
pubblicato: 1982-05-03T16:00:00+00:00
2. Democrazia o libertà?
Questo opuscolo contiene la più antica e originale «critica della democrazia» come sistema oppressivo e deleterio, ma a suo modo perfetto. Demokratia nasce infatti come parola di rottura, non di convivenza. Esprime la prevalenza di una parte, non la partecipazione paritetica di tutti indistintamente alla vita pubblica della città (ciò che si esprime piuttosto con isonomia). Addirittura la democrazia nasce, secondo Platone, con un atto di violenza: «quando vincono i poveri, e uccidono alcuni dei ricchi, altri li scacciano»; Platone prosegue osservando che tale instaurazione violenta si realizza o senz’altro con le armi ovvero per una spontanea autoesclusione del partito avverso «che si ritira in preda al terrore» (Repubblica 557 A). In linea di principio, anzi, demokratia non racchiude in sé neanche l’implicita legittimazione derivante dal concetto di «maggioranza». Su questo punto Aristotele è molto chiaro:
«Non si deve definire la democrazia, alla maniera che sogliono alcuni oggi, come il predominio dei più numerosi, né l’oligarchia come il regime in cui i pochi sono i padroni dello Stato. Se infatti, per fare un esempio, i cittadini fossero in tutto 1300, e di costoro 1000 fossero ricchi e non concedessero l’accesso alle cariche ai restanti 300 non ricchi (ma liberi e per il resto uguali), nessuno direbbe che quello è un regime democratico. Analogamente, anche se i poveri fossero pochi ma egemoni rispetto ai ricchi, più numerosi, nessuno definirebbe oligarchia un tale regime sol perché tutti gli altri, che in questo caso sarebbero i ricchi, si troverebbero esclusi dalle cariche pubbliche» (Politica, 1290 a 30-40).
Aristotele sa bene di descrivere, nell’esempio astratto dei 1300 cittadini, un caso limite; infatti soggiunge poco dopo che nella realtà il popolo, «cioè i poveri», è più numeroso dei ricchi, per cui conclude: «si dà democrazia quando i liberi poveri, essendo più numerosi, sono padroni delle magistrature, mentre si dà oligarchia quando comandano i ricchi e i nobili, i quali costituiscono una minoranza» (1290 b 18-20). Se dunque fa l’esempio-limite dei 1300 cittadini, lo fa per mostrare quale sia il contenuto della democrazia: essa consiste nella egemonia dei più poveri, cioè «di coloro che debbono lavorare per vivere». La terminologia che adopera è inequivocabile: «essere più forti, essere padroni delle cariche» ecc.: si tratta di prevalenza, di un dominio per definizione totalizzante ed esclusivo. E infatti nella classificazione tipologica delle costituzioni, democrazia è per Aristotele – al pari di oligarchia e tirannide – forma deteriore, il cui corrispettivo positivo è la politeia. Dunque demokratia significa essenzialmente dominio di un gruppo sociale – il demo –, non necessariamente della «maggioranza»; e «demo» sono «i poveri tra i cittadini», secondo una definizione senofontea, o meglio – come precisa Aristotele – «agricoltori, artigiani, marinai, manovali, commercianti» (1291 b 17-29).
Fondata sul dominio e sulla violenza, la demokratia è anche intollerante, così come intolleranti e violenti sono i suoi avversari, come ad esempio l’oligarca dell’omonimo «carattere» di Teofrasto, il quale ama ripetere: «o loro o noi in città!». L’intolleranza è la forma stessa della lotta politica, specie in tempo di guerra, quando la guerra civile è la prosecuzione di quella esterna.
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