La donna che fuggì a cavallo by D.H. Lawrence

La donna che fuggì a cavallo by D.H. Lawrence

autore:D.H. Lawrence [Lawrence, D.H.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2021-09-15T22:00:00+00:00


3

Ormai era venuto l’inverno, nell’alta valle, con la neve che si scioglieva al sole meridiano, e notti gelide. La donna continuava a vivere, in una sorta di stupore, sentendo man mano svanire le sue forze, come se ogni volontà l’abbandonasse. Era sempre nello stesso stato rilasciato, confuso, oppresso, tranne quando la bevanda d’erbe dolcificata le intorpidiva del tutto la mente e le scioglieva i sensi, portandola a una sorta di esaltata, mistica acutezza, così che le pareva di effondersi deliziosamente nell’armonia delle cose. Questo alfine divenne il solo stato di coscienza che lei percepiva davvero: la sensazione squisita di spandersi nella sovrana bellezza e armonia delle cose. Udiva allora le grandi stelle in cielo, che vedeva attraverso le sbarre della porta, parlare col loro moto luminoso, dire cose perfette al cosmo, muovendosi in ondulazioni perfette, come campanelle nella volta celeste, incrociarsi e raggrupparsi nella danza perpetua, con gli spazi di buio fra mezzo. E in una giornata fredda e nuvolosa udiva la neve pigolare e sibilare tenue nel cielo, come uccelli a stormo che volano via in autunno, e dire a un tratto addio alla luna invisibile, e scivolare dalle pianure aeree emanando un pacifico calore. E lei invocava la neve, cessata, perché cadesse dall’aria superna. Invocava la luna invisibile perché smettesse di essere adirata e rifacesse pace col sole invisibile come una donna, in casa, smette di essere adirata. E odorava la dolcezza della luna che si concedeva al sole nel cielo invernale, quando la neve cadeva con sommesso abbandono profumato di freddo, mentre la pace del sole tornava a mescolarsi in una sorta di unisono con la pace della luna.

Anche era conscia della sorta d’ombra che stava sugli indiani della valle, una profonda, stoica sconsolatezza, quasi religiosa nella sua profondità.

«Abbiamo perduto il nostro potere sul sole; stiamo tentando di riavere il sole con noi. Ma il sole è infuriato, e ribelle come un cavallo fuggito. Dobbiamo soffrire molto». Così le disse il giovane indiano, guardandola fisso negli occhi, con intenzione. E lei, come stregata, rispose:

«Spero che lo riavrete».

Sul viso di lui balenò un sorriso di trionfo.

«Speri questo?» disse.

«Sì» fu la sua risposta fatale.

«Bene, allora» disse il giovane. «Lo avremo».

E andò via esultante.

La donna si sentì scivolare inerte verso una consumazione che non aveva volontà di evitare, e che tuttavia sembrava grave e per lei definitiva e terribile.

Doveva essere quasi dicembre, perché i giorni erano brevi quando fu portata di nuovo davanti al vegliardo, e spogliata della sua veste, e toccata da quelle vecchie dita.

Il vecchio cacicco la guardò negli occhi, con i suoi neri occhi intensi, solitari, remoti, e le mormorò qualcosa.

«Vuole da te il segno di pace» tradusse il giovane, e le mostrò il gesto. «Pace e addio a lui».

Lei era affascinata dagli occhi neri, vitrei, intenti del vecchio cacicco, che la guardavano senza un batter di palpebre, come quelli di un basilisco, soggiogandola. Nelle loro profondità vedeva anche una certa paterna compassione, e una supplica. Mise la mano davanti alla faccia, nella maniera richiesta, facendo il segno di pace e di addio.



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