La guerra dei meme. Fenomenologia di uno scherzo infinito by Alessandro Lolli

La guerra dei meme. Fenomenologia di uno scherzo infinito by Alessandro Lolli

autore:Alessandro Lolli [Lolli, Alessandro]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788898837441
Google: ZSDItAEACAAJ
Amazon: 8898837445
editore: Effequ
pubblicato: 2017-04-14T22:00:00+00:00


[Pepe] non dice più “feels good, man” o “feels bad, man”; è diventato un meme che parla di se stesso, proprio come gli ironie memes parlano dei meme. Più che essere un meme, sembra rappresentare un’intera famiglia di meme - il set completo delle espressioni di Pepe. La funzione linguistica di Pepe si discosta fondamentalmente da quella di ogni altro meme: si comporta più come un font che come un linguaggio34.

Una versatilità che lo ha infine condannato a morte.

Ma nel frattempo gli Stati Uniti erano entrati in campagna elettorale, precisamente nelle elezioni primarie in cui Repubblicani e Democratici scelgono il loro candidato alla presidenza, e contemporaneamente una fetta consistente di 4chan, di quella sponda reazionaria che avrebbe poi preso il nome di Alt-right, aveva scelto di continuare a usare Pepe all’interno della loro guerra culturale: venivano prodotti dei Pepe politicamente scorretti, impossibili da cooptare: Pepe misogini, Pepe Ku Klux Klan, Pepe Hitler e, infine, Pepe Donald Trump. Infatti, quell’impresentabile candidato alle primarie del partito Repubblicano divenne immediatamente il loro idolo per via della comune, chiassosa, scorrettezza politica.

Nel testo succitato di Seong non si menziona neanche l’uso politicizzato di Pepe. All’epoca, nel settembre 2015, era ancora possibile ignorare la nascente Alt-right, forse persino doveroso: un atteggiamento che mirava a sgonfiare quel fenomeno senza conferirgli importanza. Era probabilmente corretto considerare Pepe morto se a usarlo erano rimasti solo i più indigeribili compagni di sottocultura al fine di colpire (‘triggerare’, più appropriatamente) le femministe. Ma la storia ha preso un’altra piega: il 13 Ottobre del 2015, Donald Trump ha twittato una sua caricatura a Presidente degli Stati Uniti proprio con la faccia di Pepe the Frog. In un solo colpo, i destini di Pepe, dell’Alt-right e di Trump si sono intrecciati per sempre. I media generalisti hanno iniziato a interessarsi febbrilmente al fenomeno, scatenando un’euforia inaspettata in quel movimento virtuale che da anni combatteva le sue battaglie online. Nei mesi successivi, per la stampa progressista e persino per la candidata dei Democratici, Hilary Clinton, che ha nominato più volte l’Alt-right in campagna elettorale, Pepe è diventato un “simbolo di odio razziale”. Nel corso di questa mutazione, lo stesso autore Matt Furie, ha cercato più volte di ‘riprenderselo’, sottraendolo allo stigma: lanciò l’hashtag #savepepe, che coinvolse persino l’Anti Defamation League e disegnò un fumetto speciale che vede Pepe sognare di trasformarsi in un mostruoso Donald Trump e causare un olocausto nucleare. Nel maggio del 2017, l’autore si è infine arreso, rappresentando Pepe un’ultima volta, dentro una bara.

Come può immaginare chiunque abbia un minimo di familiarità con i risultati di spinte e controspinte culturali, a maggior ragione se sottoculturali, tutta questa attenzione mediatica proveniente dagli avversari scandalizzati di Pepe ha avuto il solo effetto di renderlo più forte, di consolidarlo come simbolo supremo e indiscusso dell’Alt-right: temuto e odiato dai nemici, che ora non sono più solamente le femministe di Tumblr, ma tutta la stampa e la politica di area progressista occidentale.

Delle due morti di Pepe, non c’è dubbio su quale abbia rischiato di ucciderlo davvero: la morte per normificazione è l’unico vero pericolo che corre un meme.



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