La trappola by Ana María Matute

La trappola by Ana María Matute

autore:Ana María Matute [Matute, Ana María]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Fazi Editore
pubblicato: 2024-06-27T09:43:21+00:00


4

Tre giorni d’amore

Che immenso sollievo, all’improvviso, la fessura arancione e il puntino di luce che perforano la porta, vicino al chiavistello; quei passi, lo scricchiolio dei mobili; quella finestra che si apre. C’è un’ombra lunga che va e viene, sotto la porta. Probabilmente ha acceso una lampada a olio, o a petrolio. A quanto pare qui non c’è luce elettrica. Non hanno toccato niente in queste stanze, da molti anni.

Certo è un grande sollievo sentire dei passi umani, vivi, dall’altra parte della minaccia invisibile, del rancore che respira in ciascuna di queste porte, contornate di efflorescenze, vessate dalla muffa. Adesso il sommesso picchiettio, i topi che si inseguono sopra la mia testa e sotto i mobili non sembrano più un beffardo, sinistro presagio.

La porta si è aperta e l’ho vista avanzare guardando i muri; come se fosse la prima volta che entra qui dentro, proprio come me. Questa supposizione mi conforta. È come se inaugurassimo insieme l’episodio che sta nascendo, nel quale, forse, alla fine avremo tutti ragione e orrore in parti uguali da condividere. È un po’ come quella sensazione vigliacca del più siamo, meno soffriremo, che rende solidali nel pericolo, in contrapposizione con il meno siamo e meglio è, quando ci si spartisce il bottino.

Bear mi ha parlato pochissimo di sua madre, e in effetti non me l’ero immaginata. Non capisco quindi perché la sua sagoma scura mi abbia sorpreso, quando la lampada ha popolato i muri di giovani efebi, coperti di muffa e modestamente pornografici. “Pensavo fosse diversa”. Ma è assurdo; se non l’ho immaginata in nessun modo, non può essere diversa. Prima che posasse la lampada sul pavimento, e aprisse la finestra, e si avvicinasse all’altra porta (l’ultima) che conduce alla mia tana, ho avuto il tempo di dirmi: “Perché è diversa?”. Sembra molto alta e molto magra; o forse è l’ombra sul pavimento, che la fa apparire più lunga. Più alta e più magra del comune, penso.

Ma quando mi ha offerto una sigaretta e si è seduta, è nato tra noi qualcosa di strano e imbarazzante. Penso che è tutto pianificato al millimetro; che è tutto studiato con cura e nei minimi dettagli, tranne questa situazione improvvisa, banale e imbarazzante: noi due, nel buio, in silenzio. La devo ringraziare per la sua (potremmo dire) collaborazione. Per quanto sia una collaborazione un po’ forzata, davanti a un “fatto compiuto”. Ma non riusciamo a dirci niente, non sappiamo dirci niente. Mi è sembrato che ridesse. Sorprendente, in realtà: ma sembrava proprio che stesse ridendo. O, almeno, soffocando una risata. Difficile dirlo.

Poi è andata alla finestra, per aprirla. “Una vera ossessione, quella di aprire le finestre”, mi sono detto; e mi sono permesso di rivolgerle la parola, di buttare lì un esitante: «Forse sarebbe meglio lasciarla chiusa: che non trapeli luce». (Mentre tenevo d’occhio la luce fioca e rosata nell’altra stanza, la lampada che aveva posato a terra; quella che illuminava i dipinti sui muri).

«Nessuno può vederla», ha detto. «Queste finestre danno verso il mare. E poi io dormo di là, in questi giorni.



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