L’albero delle albicocche by Beate T. Hanika

L’albero delle albicocche by Beate T. Hanika

autore:Beate T. Hanika [Hanika, Beate T.]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858519332
editore: Piemme
pubblicato: 2018-01-23T16:00:00+00:00


1. Si fa riferimento malla fiaba Biancaneve e Rosarossa, contenuta nella raccolta Fiabe dei Fratelli Grimm. [N.d.T.]

17

Niente è più immenso, niente mette più a disagio del silenzio di una casa abbandonata: si annida in ogni angolo, ostile e spietato, sempre pronto a saltarti addosso e a divorarti. Finché non ti azzardi più a fare un passo e, rannicchiato, ti tappi le orecchie sobbalzando a ogni scricchiolio del pavimento.

A quel tempo avevo almeno Hitler: mi era rimasta solo lei, gli altri erano tutti spariti.

La ragazza tedesca aveva paura del silenzio nel suo cuore. Una volta disse che, quando calava il silenzio, guardare il bagliore del fuoco, sentire il suo calore e inspirare l’odore di bruciato, l’aiutava a scongiurarlo. Quando andava a dormire, metteva la musica e, quando era finita, si svegliava di nuovo. Vagabondava per le vie di Vienna, finché non si reggeva più in piedi dalla stanchezza: solo allora, tornava indietro. Succede a molte persone. Non è l’unica.

Dopo che fui stata da lei di sopra, ci incontrammo più spesso, sempre di nascosto e di notte. Lei non bussava alla mia porta; quando c’era, lo sentivo. Poi restava fuori accanto al cancello del giardino, irrequieta, con le guance accaldate, e io, io mi sentivo un po’ come il folletto di una volta, che spingeva gli altri a fare cose irragionevoli, che si arrampicava sulle querce e baciava sulla bocca un ragazzo i cui capelli biondi rilucevano come grano al sole. Se non fosse stato per la mia schiena e per le mie ginocchia dolenti, mi sarei placidamente cullata in quell’illusione.

Una volta andammo al duomo di Santo Stefano. Non entrammo, perché a nessuna delle due interessava molto la chiesa cattolica, ma ci sedemmo lì di fronte guardando la gente che usciva barcollando dai pub per tornare a casa.

Una vecchia e una ragazza.

«Sa perché sono qui?» mi domandò.

«No» risposi.

«Vuole saperlo?»

«No.»

Non mi importava che fosse una ragazza tedesca.

Andammo anche al Prater, ma la ruota panoramica era ferma, e i chioschi erano chiusi. La portai al cimitero di Währing, alla tomba di mia nonna e, quando scoppiò in lacrime, non l’abbracciai. La lasciai piangere. Finché non mi sembrò che la notte fosse passata e iniziasse il nuovo giorno.

Naturalmente, a Rahel non sfuggiva nulla. Era sveglia come una volpe. Mi spiava, mi seguiva, mi assillava in ogni momento, lanciandomi occhiate furiose quando ero in giardino a guardar crescere le albicocche. Erano diventate grandi come ciliegie, ma erano ancora acerbe e immangiabili. Rahel aveva intuito che qualcosa non andava. Quando mi sedetti sulla panchina di legno rovinata dalle intemperie, si sedette così vicina a me che potevo sentirne il respiro sul collo.

«Shvesterke,» disse poi «lo sai che ti amo con tutto il mio cuore.»

Non ne ero così convinta: di tutte noi, Rahel era sempre stata la più scostante. Già da piccola, quando mia madre cercava di prenderla in braccio, si puntellava contro di lei. Non riusciva a strapparle niente, e raramente – quasi non ne avevo memoria – c’era stato tra noi qualcosa di più di un contatto superficiale.



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