L’argine delle erbarie by Silvia Cavalieri

L’argine delle erbarie by Silvia Cavalieri

autore:Silvia Cavalieri [Cavalieri, Silvia]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Solferino
pubblicato: 2024-05-15T00:00:00+00:00


12

Sibilla della Bassa

La piazza delle Erbe a Carpi era già gremita di gente quando la Mitilda vi giunse, quella domenica mattina dell’8 giugno 1941, sul presto. Il sole nasceva poche ore dopo la mezzanotte e le giornate si erano fatte lunghe, molto afose. Erano diverse settimane che la vecchia tribolava a prender sonno; le rughe ordivano una trama fitta sul suo volto olivastro e le labbra avevano preso una piega ancora più arcuata, di diniego. La mattina si era alzata che faceva ancora buio, si era avvicinata al letto della figlia minore, la Rosina, quella che le assomigliava di più, e le aveva bisbigliato che sarebbe andata al mercato di Carpi a vendere delle padelle. Voce di carta vetrata, anche quando si faceva sottile. Alla ragazza bastavano queste parole per sapere che avrebbe dovuto alzarsi lei per aiutare sua sorella Dolores e le cognate a preparare la colazione per gli uomini che tornavano affamati dalla stalla, e che poi sarebbe dovuta andare nell’orto. Ad apparecchiare la tavola per fortuna ormai era buona anche la Solidea.

La Rosina aveva fatto quattordici anni subito prima di Natale: era assennata, di poche parole, andava d’accordo con tutte le cognate perché era raro che qualcosa, nell’organizzazione pratica della vita di campagna, non le andasse bene. Non era accondiscendenza, la sua: aveva l’indole di accogliere quel che le arrivava, che poteva esser fatto in tanti modi, prender vita da fili diversi – nessuno migliore degli altri – e quei fili tessevano l’involucro di ciò che contava per davvero, proteggendolo forse, a confondere il destino. Non sapeva dire cos’era che contava per lei ma le piaceva giocare coi nipoti, parlandoci normale, senza tanti simitoni. E insegnargli a far bene. Era giusta per inclinazione naturale. Alzava la voce solo davanti ai soprusi. Le cognate si stupivano quando le rimproverava perché mandavano troppe volte la Solidea nell’orto o le lasciavano da pulire i pioli infangati di tutte le quaranta seggiole di casa, per mettersi loro a prender aria nella barchessa.

Alle parole della madre, quella domenica mattina si sollevò sul materasso che scricchiolava per i fusti di pannocchie e poggiò i piedi accanto al letto, pronta ad alzarsi:

«’Spèta la lūs, Rusìna… me a vāg parchè arrivèr a Cārpi a pìa l’è lunga…».

Le diceva di aspettare la luce per alzarsi e che lei doveva andare perché la strada per arrivare a Carpi a piedi era lunga, anche se il giorno prima si era accordata col barcaiolo perché la traghettasse sull’altra sponda di Secchia per accorciare il cammino. Durante il tragitto, la Mitilda non si era distratta un momento a guardarsi intorno, continuando a fissare il suolo su cui i suoi piedi procedevano metodici, senza esitazioni né guizzi. Sperava di vendere qualche paiolo, visto che la patria, dopo il ferro delle cancellate, chiedeva ora il rame. L’Italia aveva sulle spalle il peso di più di cinque anni di sanzioni internazionali a causa dell’invasione dell’Etiopia e ora, prima con la Spagna e poi con questa nuova grande guerra, per il commercio di cappelli e trecce la situazione era ulteriormente precipitata.



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