Le Campane di Nagasaki (1952) by Paolo Nagai

Le Campane di Nagasaki (1952) by Paolo Nagai

autore:Paolo Nagai
La lingua: ita
Format: mobi, epub
Tags: Seconda Guerra Mondiale, Biogarfia, Cristianesimo
editore: Garzanti
pubblicato: 1952-04-01T23:00:00+00:00


Dopo aver seppellito un numero pauroso di morti, dopo aver visitato un’infinità di feriti, eravamo in grado di fare un primo, approssimativo bilancio del disastro e di trarre le prime conclusioni sulle ferite provocate dalla bomba atomica.

Queste ferite erano di due specie : quelle prodotte direttamente dallo scoppio e quelle causate, indirettamente, dai fenomeni derivanti dall’esplosione stessa.

Lo spostamento d’aria, l’enorme calore sprigionatosi, i raggi gamma ed i neutroni, le schegge della bomba che, cadendo, si erano trasformate in bolidi infuocati, erano stati le cause dirette. Nella seconda categoria, invece, si potevano includere tutti i fenomeni nervosi causati dallo choc, nonché le ferite provocate dal crollo delle case, dal violento repentino spostamento di corpi solidi, dall’incendio e dalla radioattività.

Non esistevano ferite prodotte dal vero e proprio scoppio della bomba, come si riscontrano nei bombardamenti ordinari. Al contrario, le ferite erano soprattutto causate dalle emanazioni radioattive che, permanendo sul luogo dell’esplosione per un tempo rilevante, continuavano così a produrre i loro nefasti effetti.

Lo spostamento delle masse d’aria era stato violentissimo : tutto quello che si trovava all’aperto o in luoghi non sufficientemente riparati — sui tetti, alle finestre, ecc. ecc. — era stato proiettato al suolo o spazzato via. Tutti coloro che si trovavano appunto in quelle condizioni, entro il raggio di un chilometro, morirono sul colpo o appena qualche minuto dopo, in modo atroce. Fra cadaveri orrendamente squarciati, trovammo, a cinquecento metri dall’epicentro dell’esplosione, un feto, fuoruscito con tutta la placenta dalle viscere materne. A settecento metri giacevano corpi decapitati, cadaveri con gli occhi schizzati fuori dalle orbite, cadaveri talmente esangui da far pensare che tutti gli organi interni fossero scoppiati. La rottura delle vertebre cervicali provocò in alcuni una forte otorragia.

Innumerevoli furono le vittime dell’atroce calore. A cinquecento metri, i volti erano tutti carbonizzati. Le bruciature subite da coloro che si trovavano ad un chilometro di distanza, bruciature che chiamerò « ustioni atomiche », erano di un genere tutto particolare. Nelle parti del corpo direttamente sottoposte all’azione del calore, il tessuto epiteliale e quello sottocutaneo si distaccarono di colpo, in lunghi brandelli della larghezza di un centimetro. Talvolta, questa specie di nastro epidermico, rosso e bianco, si rompeva, si accartocciava o pendeva inerte come un cencio. L’effusione di sangue non era rilevante.

Nel momento in cui le vittime riportavano queste ustioni, non provavano la tipica sensazione della scottatura, ma un dolore intenso, lancinante, come se venissero punti da migliaia di aghi e, a questo dolore, seguiva un senso di freddo intensissimo. La pelle distaccata era fragilissima e si lacerava con estrema facilità. La maggior parte delle persone così colpite morì in un tempo più o meno breve.

Con tutta probabilità, il fenomeno delle ustioni atomiche doveva passare per le seguenti fasi : il calore, sprigionatosi dall’esplosione ad una velocità di trecentomila chilometri al secondo, raggiungeva istantaneamente le parti. esposte dei corpi, determinando la ustione dei tessuti. Questi, tanto il tessuto epiteliale quanto il connettivo sottocutaneo, si alteravano, diventavano fragili. In un secondo tempo, sopravveniva la pressione dovuta allo spostamento d’aria, cui seguiva,



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