Le parole per dirlo by AA.VV

Le parole per dirlo by AA.VV

autore:AA.VV. [AA.VV.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Aliberti
pubblicato: 2022-07-14T22:00:00+00:00


«Se potete… aspettate»

«Non sapendo quando l’alba possa venire

lascio aperta ogni porta,

che abbia ali come un uccello

oppure onde, come spiaggia».

Emily Dickinson

Una prima visita in palestra, come tante altre: un bimbo di pochi mesi con un ritardo motorio. Da quando l’accesso è con prenotazione al cup manca quel primissimo contatto che lascia il tono di voce di una telefonata, l’urgenza dell’incontro, qualche particolare che predispone a un’accoglienza pensata, mirata. Arriva la madre, una bella signora, non più giovanissima, curata, colta, sicura di sé, seria, con uno stile da manager: il bimbo è nel passeggino, spinto dalla nonna materna. Questa, con un leggero sorriso, sta un passo indietro.

Io e Paolo, il fisioterapista, abbiamo preparato un angolo morbido a tappeto, con qualche gioco, per un primo incontro di conoscenza. L’aria si arroventa subito. Con un crescendo di tensione la madre racconta il primo giorno di vita del bambino: «Dormiva, dormiva… non svegliamolo!», ma dormiva tanto, troppo! Lei aveva preteso una visita ulteriore del pediatra che, le avevano riferito, l’aveva trovato bene alla nascita… lei si era preoccupata! Lei ha dato l’allarme, lei ha insistito, lei l’ha salvato. Era in coma metabolico. Il bimbo passa sullo sfondo, la visita pure, alla signora non interessa come troviamo il suo bambino, non ci pone domande. Noi ascoltiamo col suo piccolo bambino in braccio; con quel che resta del suo bambino sognato sano come tutti ma ora “rovinato” per tutta la vita.

Trasferito d’urgenza in un lontano ospedale super specializzato, senza di lei, veniva diagnosticata una malattia rara, anzi rarissima. Dieta strettissima, pesata al grammo, pasti fissi, pena uno scompenso e rischio di vita. «Sono una despota con lui… anche se non vuole deve mangiare, anche se non gli piace… sono inflessibile».

Una forma di amore disperato, pensavo, senza la libertà e la bellezza di una intesa con reciproco rispetto. Come sarebbe andata col tempo? Intanto sulla scena c’era sempre la mamma con i suoi compiti imperiosi. Il bambino aveva si, un ritardo ma per la mamma pareva essere ininfluente. E anche io e il fisioterapista seguivamo la stessa sorte: inutile la fisioterapia, inutili le visite, la proposta di ausili.

Pensavo che avrebbe presto abbandonato le cure di un semplice servizio del territorio per andare in un grande centro, dove ne avrebbero saputo di più. “Non tutti si lasciano curare”, provavo a ripetermi, non si può obbligare nessuno. A volte ci sono sconfitte in partenza.

Nello stesso tempo, mi pareva servisse un rispetto particolare per quel particolare dolore. Ho tentato incontri più informali con la madre. In palestra il bimbo veniva, quando stava bene, con la nonna. Le visite di controllo erano con la nonna. La mamma raramente riusciva a entrare nell’ingresso, in corridoio e lì, al volo, riuscivo a dire qualcosa, poche battute. Lo spazio era riempito dai racconti della vita in casa, stravolta, tutta scandita sui tempi e sui bisogni del bambino… una vita pesantissima e coatta.

Un giorno lancio una sfida: «Perché non lo inserisce al nido? Ci ha mai pensato? Si può fare anche per lui!» No secco immediato:



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