L'orologiaio di Porta Genova by Marco Caccamo

L'orologiaio di Porta Genova by Marco Caccamo

autore:Marco Caccamo
La lingua: ita
Format: epub
editore: Agenzia X
pubblicato: 2019-04-15T00:00:00+00:00


I funerali di Spagnolo

Alessia aveva attaccato. Russo ritornò all’auto e in pochi minuti era al commissariato. Parcheggiò in seconda fila e mentre stava per chiudere la portiera Banfi gli apparve alle spalle.

«Bentornato commissario, una telefonata poteva farla eravamo in pensiero.»

«Anche tu, qua sono tutti in pensiero ma di pensieri non ne escono!»

Detto questo lanciò le chiavi dell’auto a Banfi che capì che non era il momento di discutere e lo lasciò salire nel suo ufficio.

Il commissario si abbandonò sulla sedia e guardò alcune carte sulla scrivania. Si alzò e si mise a camminare per la stanza. Improvvisamente, folgorato, si ricordò di una cosa.

«Banfi, Banfi!»

La porta si aprì.

«Mi dica commissario.»

«Vai a comprare “l’Unità”.»

Passati dieci minuti Russo stava sfogliando il giornale. Nelle pagine della cronaca milanese trovò l’annuncio dei funerali di Spagnolo: “Domani, sabato alle ore 14.30, con partenza dalla Federazione milanese di via Volturno si svolgeranno i funerali del compagno Renzo Spagnolo, detto Fuentes, dopo una breve commemorazione accompagneremo la salma al Cimitero Maggiore”.

Chiuse il giornale, lo piegò in due, poi in quattro e poi lo gettò nel cestino. Chiuse la porta dell’ufficio e scese in strada, aveva voglia d’aria e di camminare. Passo su passo, senza rendersi conto, arrivò nel piazzale di Porta Genova. Guardando l’edicola davanti alla stazione gli ritornò alla mente la sagoma, disegnata con il gesso, dello Spagnolo ucciso.

Finché non fosse riuscito a cancellare le nebbie che avvolgevano questo omicidio non si sarebbe dato pace.

Attraversata la strada si fermò davanti al bar pasticceria, sulla destra la serranda del negozio di Spagnolo era chiusa. Sull’angolo un fiorista ambulante gli ricordò Alessia. Pensò di comprarle dei fiori, delle rose rosse per farsi perdonare. Ne prese sette, stava per pagare quando si ricordò che oltre che innamorato era anche commissario.

«Mi scusi, sono il commissario di Porta Genova, forse qualcuno dei miei uomini le avrà già fatto delle domande sul caso dell’orologiaio, ma dagli appunti dei miei agenti non mi ricordo di lei.»

«No, nessuno mi ha chiesto niente.»

«La mattina dell’omicidio non ha notato niente di strano?»

«Di particolare niente, salvo una persona, un uomo, alto circa un metro e ottanta, ben piantato, che usciva dal portone con grossi scarponi da montagna ai piedi e con passo veloce si dirigeva verso la stazione.»

«Saprebbe riconoscerlo?»

«No, perché l’ho visto solo di schiena, io venivo dalla trattoria Cavalli, mi sono rimasti impressi quelle scarpe: in estate nessuno va in giro con quella roba così pesante.»

«Che ora era più o meno?»

«Saranno state più o meno le 8.20, perché a quell’ora inizio a mettere fuori i fiori.»

«La ringrazio, e arrivederci.»

Poteva essere anche questa l’ennesima indicazione da nulla, ma il particolare degli scarponi metteva in luce qualcosa di anomalo in un caso dove tutto appariva terribilmente normale. Bisognava continuare a scavare.

Russo arrivò a casa. Non c’era nessuno, Alessia aveva rifatto il letto e lavato le tazze. Si tolse la giacca, slacciò la fondina ascellare per la pistola, tolse i proiettili, ripose il tutto in un cassetto.

Prese un vaso di vetro, lo riempì d’acqua, vi mise le rose e lo pose nel centro del tavolo.



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