L'orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano by Pia Pera

L'orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano by Pia Pera

autore:Pia Pera [Pera, Pia]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788850239344
Amazon: 8850239343
editore: TEADUE
pubblicato: 2015-03-02T00:00:00+00:00


Le nozze fra l’albero e la vite

Agosto 2011

C’è da perdersi nella contemplazione di certi paesaggi. Ce ne allontaniamo, incalzati dal da farsi; subito ci punge nostalgia. Da cosa nasce tanta felicità nel semplice guardare? Appaga, certo, il senso di armonia di fronte a un intreccio di forme, colori, luci e suoni, riuscito al punto di parere frutto di un disegno, opera d’artista. Non di un singolo, ma di una intera popolazione di gusto e intento condivisi. Il paesaggio testimonia la qualità o no dell’incontro tra uomo e natura. Spia e sintomo di incontro riuscito è il senso di pace, pienezza, gioia nel semplice essere al mondo comunicato dalla visione. Come nel lieto fine di una fiaba: e vissero felici e contenti. In altre parole: c’è stata una festa di nozze. Non tra un uomo e una donna, ma tra un luogo e chi lo abita. C’è stato un tempo in cui anche le piante potevano sposarsi tra loro: le viti maritate. La vite aspira a vette per lei irraggiungibili con le sue sole forze e così, come una prima ballerina, si prende a compagno un albero. L’olmo, spesso, ma anche, come racconta Ilaria Agostini in Il paesaggio antico (AION, 2009), i maggiociondoli, incanto di grappoli di fiori dorati vicino alla vigna appena fiorita, i pioppi o altro a seconda delle zone. Di tronco in tronco, i tralci della vite formavano ghirlande e festoni – altrettanti accenti che imponevano al paesaggio un ritmo, un fraseggio come di musica o verso poetico. Ne restano poche di viti maritate a sostegni vivi. Ne avevo viste di meravigliose anni fa a una curva della strada che percorre sinuosa lo stupendo paesaggio tra Poggibonsi e Volterra. Finché un giorno ho rallentato invano: gli alberi erano stati abbattuti, sostituiti da pali in cemento. Questa delusione, cocente, mi ha fatto capire che quanto ci rende felici di fronte a un paesaggio curato con amore e senza timore di dedicargli il tempo della vita è la gratitudine per quello sconosciuto qualcuno che si premura di comporre un quadro gentile, e in tal modo dona piacere anche all’altrettanto sconosciuto passante. Mentre nell’imbatterci in qualcosa di imposto al paesaggio mirando alla sola cieca praticità e non alla bellezza del quadro, si prova sgomento. Come quando si abbia a che fare con un bruto che badi soltanto a tirare dritto, senza curarsi d’altro. Indifferente alla sintassi del Jardin continuel, come fu definita la campagna intorno a Napoli da un viaggiatore settecentesco.



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