L'uomo dell'enciclopedia by Marco Cavalli

L'uomo dell'enciclopedia by Marco Cavalli

autore:Marco Cavalli [Cavalli, Marco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Neri Pozza


14.

Dal vostro sguardo indovino che andate fiero di appartenere alla mia stessa tribù, per lo meno su questo versante.

Vi sorprenderà apprendere che non tutti gli uomini che condividono la mia opinione hanno le mie stesse inclinazioni. Come il barone d’Holbach, per fare un nome che suppongo non vi sia ignoto.

Fino a pochi anni fa era l’arcivescovo dei liberi pensatori, a Parigi. Della religione ortodossa conservava parecchie usanze.

Una di queste era l’abitudine di riunire i fedeli ogni domenica alle undici, in un edificio che per l’imponenza e il lusso ricorda una chiesa.

Ho presenziato in più di un’occasione ai raduni di questa comunità e vi assicuro che vi si parla di Dio più che durante una messa.

Arduo intromettersi in una discussione, e impossibile spostarla su questioni che non siano di teologia. I libertini vi cercano qualcosa che non riescono a trovare; quando infine la trovano, è per concludere che non aveva senso cercarla.

Si scagliano contro i dogmi e i misteri della fede, facendone l’oggetto di diatribe interminabili, talmente acrimoniose che sembrano fuoriuscite da un condotto biliare.

Bisogna andarci cauti a fare la guerra ai preti: il pericolo di diventare come loro è dietro l’angolo.

Avrete sentito parlare, immagino, di quello scienziato che voleva studiare il comportamento di una scimmia. Mise l’animale in una stanza, da solo, e lo chiuse dentro; poi andò a spiare dal buco della serratura. Il buco era completamente occupato dall’occhio della scimmia che stava spiando lui. Ecco, tutte le volte che provo a guardare un ateo con gli occhi di un prete è sempre un prete che vedo.

È bensì vero che a quei raduni si mangiava divinamente. Le quaglie marinate che il barone faceva servire al Grandval non avevano uguali.

Quando sentite dire che alle cene del barone tutto era ammesso, il riferimento è ai piatti che venivano portati in tavola, non ai commensali. Com’erano inferiori, costoro, alla cucina del padrone di casa! E come sono inferiori al loro autore, i libri del barone d’Holbach.

È strano che gli scritti di un uomo tanto ospitale diano l’impressione di essere il frutto di un dovere faticoso. La sua ospitalità, al contrario, era gradevole non meno che gradita. In nessun caso si può dire che fosse interessata. Egli dava molto e non esigeva quasi niente.

Avete presente i paragoni che si fanno, anche senza volere, tra i favori che si rendono e quelli che si ricevono, e che incrinano gli affetti più saldi? Con d’Holbach non c’era rischio di fare simili paragoni.

Era ricco, non sollecitava cariche, si era messo nella condizione di non aver bisogno di nessuno. Un amico deciso a ricambiare i favori del barone non ne trovava l’occasione. Si restava suoi debitori, ecco tutto. Il debito, crescendo, accresceva la felicità del creditore.

Dei centosessanta collaboratori che scrissero le quasi settantaduemila voci di cui si compone l’Enciclopedia, d’Holbach fu tra quelli che mi diedero meno filo da torcere.

Ammetto che, in qualche occasione, ammorbidire la prosa coriacea del barone poteva rivelarsi più impegnativo che scriverla al suo posto.

Aveva il vizio di argomentare in eccesso, un difetto che spartiva con scrittori di reputazione maggiore della sua.



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