Mio nonno era fascista by Stefano Welish

Mio nonno era fascista by Stefano Welish

autore:Stefano Welish [Welish, Stefano]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Giovane Holden
pubblicato: 2018-01-14T23:00:00+00:00


19

Giuliana

Era un po’ di tempo che mi ero accorta di una certa agitazione a casa e vedevo mamma e papà parlare a bassa voce di qualcosa che si chiamava leggi razziali. Anche se la cosa non mi sembrava di particolare interesse, ne chiesi a Gianpaolo, il quale, dopo avere a sua volta chiesto a Franco, mi spiegò che queste leggi erano principalmente contro gli ebrei.

Io sapevo vagamente che papà era ebreo, ma non capivo perché ci dovesse essere qualcuno che se la volesse prendere con lui. Da quanto avevo appreso, lui rischiava di perdere il lavoro e questo certamente non sarebbe stata una bella cosa.

I suoi affari, infatti, qualunque cosa fossero, gli andavano molto bene, tant’è che lui era stato in grado di aiutare il nonno, che invece doveva avere combinato qualche guaio, a ripagare alcuni grossi debiti. Questo forse non avrei dovuto saperlo, ma un paio di volte mi è capitato di sentire le zie parlare di questi problemi con la mia mamma.

Poi un giorno papà tornò a casa con un grande sorriso e mostrò alla mamma un documento, che io poi andai a leggere, dove si dichiarava che lui era un ebreo arianizzato. La definizione non mi era molto chiara, ma da quel momento, l’unica cosa che vidi cambiare a casa, fu che ogni tanto lui andava alle riunioni del Partito, indossando l’uniforme prescritta, completa di fez in capo, che io trovavo piuttosto buffa. Lui stesso, guardandosi allo specchio prima di uscire, commentava: “Andiamo a fare questa pagliacciata”.

Era evidente, però, che qualcosa era cambiato e sempre più di frequente, nei discorsi fatti a tavola, sentivo menzionare la parola Asmara, che m’incuriosiva, ma cui non prestavo molta attenzione.

Quell’anno, come di consueto, sono andata a trascorrere l’estate con i nonni a Rapallo. In quel periodo Gianpaolo doveva fare la prima comunione e io lo accompagnavo, assieme a un altro nostro amichetto, che si chiamava Paolo, presso una signora che insegnava catechismo in una villetta poco fuori il paese, appena dopo il ponte della ferrovia.

Ci andavamo in bicicletta e poiché ne avevamo solo due, all’andata portavo io Paolo in canna, mentre al ritorno lo portava Gianpaolo. Seguivamo dapprima la strada, poi tagliavamo lungo un grande campo sterrato, delimitato da una lunga siepe.

Tornando a casa, con la bici più leggera, mi sono divertita a fare delle evoluzioni nel campo e poi ho preso la rincorsa, per far vedere ai due ragazzi quanto veloce ero capace ad andare. Loro stavano comunque per raggiungermi e io, visto un piccolo varco nella siepe, mi ci sono precipitata attraverso, sicura che non avrebbero potuto seguirmi. E poi…

Mi sono trovata per terra, la bici tutta storta, senza capire cosa fosse successo.

Il mio primo pensiero coerente fu che avevo perso le mie scarpe da ginnastica nuove di zecca. I ragazzi erano chinati su di me, assieme a un signore sconosciuto che, mi hanno detto poi, era il guidatore dell’auto che mi aveva investito, ognuno bianco in volto, l’uomo con le mani nei capelli, che balbettava: “È spuntata all’improvviso,



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