Navi, porti, bordelli by Giacomo Scotti

Navi, porti, bordelli by Giacomo Scotti

autore:Giacomo Scotti [Scotti, Giacomo]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788899932640
editore: Oltre
pubblicato: 2019-10-13T22:00:00+00:00


DON CABRERA, GENEROSO E RISPETTATO MALAVITOSO

Durante il viaggio Don arrestò l’auto più volte e, con fare da brigante, inghiottì ad ogni sosta lunghe sorsate di tequila. Verso le due del mattino la Chevrolet dell’atletico “eroe” si arrestò davanti a una solitaria casa a tre piani, immersa nel buio. Chiesi al conducente se eravamo finalmente arrivati a casa sua. Rispose che c’era ancora molto da camminare per arrivare a casa, un misero pianoterra dove lui e i suoi vivevano in pochi metri quadrati. Si era fermato, spiegò, per mostrarmi la Casa degli Spiriti dove nessuno viveva né voleva viverci perché era maledetta: dopo la mezzanotte si affollava di fantasmi.

Alzandomi dal sedile dell’auto, feci per scendere, manifestando l’intenzione di visitare l’edificio, ma Don Cabrera mi trattenne.

– Non è necessario, hombre! Visiteremo piuttosto il Rancho Grande che è molto lontano. Dopo di che ti porterò a casa mia, dove ti farò conoscere mia moglie e i miei bambini.

Allegro come una Pasqua, lanciando l’auto alla massima velocità, Din corse verso il lontano e solitario Rancho Grande, imboccando, dopo la strada principale, un sentiero stretto in terra battuta.

Via via che ci avvicinavamo alla fattoria, si udivano sempre più distintamente la musica e i canti. Si festeggiava anche laggiù la Giornata della liberazione del Messico, ma all’aria aperta.

Quando arrivammo sul posto, ai suoni e canti si aggiunsero gridi di saluto all’indirizzo di Don Cabrera che fu circondato da amici ai quali mi presentò. Fra i presenti c’erano una decina di ex combattenti di Pancho Villa. Vivevano per lo più contrabbandando le merci più svariate al di qua e al di là del confine col Messico: dalle automobili rubate fino alle chitarre.

Mi parlarono di Don come di un esperto fornitore di tutto quello che veniva richiesto dall’una e dall’altra parte, lo consideravano anche un temerario. Succedeva spesso che vendesse uno stesso oggetto due volte, ma la cosa non gli veniva rinfacciata; tenevano in considerazione la sua famiglia numerosa.

Quando la festa si concluse, riprendemmo il viaggio e, finalmente, arrivammo di fronte a una bassa casetta nella quale viveva la famiglia Cabrera. Sua moglie si era appena svegliata. Don mi presentò. Tenendomi la mano, la donna pronunciò il proprio nome: Lupe. Era una tipica indiana messicana, forte e sana.

Subito dopo mi accompagnò nella stana in cui dormivano i suoi cinque figliuoli: dormivano per terra, avvolti in vecchie coperte. Li svegliò uno alla volta per farmeli conoscere. Il più grande aveva quindici anni, il più piccolo quattro. Erano tutti belli e sani, somigliavano in maniera straordinaria al loro papà, ma erano molto più belli di lui. Finite le presentazioni, Don ordinò ai figli di continuare a dormire ed alla moglie di preparare un buon caffè. La informò che avrei trovato un lavoro e una sistemazione.

Disorientato, dissi a Don che aveva una famiglia bellissima, poteva andare orgoglioso della moglie e dei figli. Sottovoce, mi rispose che dei figli avrebbe potuto averne sette, ma era stato costretto a soffocarne due appena nati.

– Per la nostra miseria – si giustificò. Volsi lo sguardo verso Lupe e scorsi nei suoi occhi, con le lacrime, tristezza e paura.



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