Non andartene docile in quella buona notte by Ricardo Menéndez Salmón

Non andartene docile in quella buona notte by Ricardo Menéndez Salmón

autore:Ricardo Menéndez Salmón [Salmón, Ricardo Menéndez]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788892940505
Google: FtjpzgEACAAJ
editore: Marcos y Marcos
pubblicato: 2021-12-14T23:00:00+00:00


Lasciare la casa in cui sei cresciuto è come cambiare paese. Forse è il cambiamento più importante della vita. Più del matrimonio o del lavoro. Persino più di avere un figlio. Perché è il tuo stesso io, un io irrecuperabile, che resta indietro. Guardando dallo specchietto retrovisore scopri il re nudo, un corpo che non tornerà più. È la muta del serpente, l’involucro di quel che sei stato. Credo che capirò quello che la mia defezione ha significato per i miei genitori solo quando i miei figli se ne andranno. O forse nemmeno allora, perché mi auguro che il loro addio, quando arriverà, non dipenderà dalla sensazione di abitare in una palude. Spero che se ne andranno a testa alta, esultanti e felici, dignitosi, chiudendo la porta con gioia, non come chi abbandona una casa dominata da forze maligne facendo scattare la serratura con circospezione, non fosse mai che gli abitanti lo afferrassero per i capelli e lo riportassero nella sua nicchia oscura.

In quella fuga c’era un punto di non ritorno. Un rien ne va plus da croupier esasperato. Il patto di affetto e solidarietà del sangue si era sciolto per questione di sopravvivenza. Il dilemma era tra lucidità e declino, futuro e resa. Vent’anni della mia vita in mano agli eserciti dell’invisibilità e dei veleni avevano alimentato una sensibilità morbosa, una tendenza esasperante alla malinconia. Sfuggire dal panottico dove la malattia era l’unica polizia, e la morale un tema di ceppi filiali fu la mia lotta personale per una casa propria. La sfida era la conquista di una solitudine da cui costruire una libertà perfettibile però solo mia, la ricerca di un ambito che non avesse a che vedere con uno spazio di consolazione e raccoglimento, ma con un territorio svincolato dalla pietà della tribù.

I miei amici di quel periodo si dedicavano a forme drastiche, spesso stupide, di demolizione dei ponti. Dal fumare eroina fino a far parte del movimento okupa, dall’assumere una coscienza politica radicale a flirtare con i volti dell’anomia, sebbene sempre, di fondo, la prosa che ascoltavamo era quella del nichilismo millenarista che bussava già energicamente alla nostra porta: la tentazione del suicidio, il corteggiamento della morte, una violenza senza senso, oggetto né nemico visibile, nata dal più puro e abominevole tedio e dalla sua radice: il fatto indegno, che in fondo ci imbarazzava e ci rendeva ancora più codardi, che le nostre necessità materiali fossero soddisfatte senza che avessimo fatto alcuno sforzo per meritarlo. Nel frattempo, io ero impegnato in una lotta che a loro, i miei simili, doveva sembrare quasi ingenua, fondamentalmente incongrua: rompere con la famiglia, scappare di casa.

Ricordo che i miei amici erano a proprio agio in quel gelo terribile in cui ci trovavamo. Come I vitelloni di Fellini, succhiavano dalla tetta grassa della famiglia per potersi poi rompere la testa ogni fine settimana contro il muro dell’insensatezza. Ballavano fino a crollare esausti, scopavano non per piacere ma per rabbia, bevevano per raggiungere uno stato di malessere nel modo più veloce possibile,



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