Norme per la redazione di un testo radiofonico (Italian Edition) by Carlo Emilio Gadda
autore:Carlo Emilio Gadda [Gadda, Carlo Emilio]
La lingua: ita
Format: mobi
ISBN: 9788845980282
editore: Adelphi
pubblicato: 2018-09-10T16:00:00+00:00
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Le Norme si aprono con una figura di occupatio: la mancata osservanza, da parte degli autori, delle necessarie regole e cautele «può rendere “intrasmissibile” uno scritto». Un’affermazione non innocente.
Parlare alla radio implica abdicazione non al proprio io stilistico, ma alla certezza di una sua inscalfibile, centripeta esistenza: esige il superamento di una concezione monolitica della scrittura individuale. A esperienza radiofonica ormai chiusa, il 12 giugno 1956 Gadda scrive a Tommaso Landolfi: «Credo, in linea generale, che tu potresti fare qualcosa di molto tuo e molto buono per la R.A.I., ove forse ti riuscisse di sopprimere in te quel disdegno per uno strumento di diffusione che sembri giudicare inadeguato al tuo modo di essere, al tuo stile».32 Se Gadda recepisce da subito il linguaggio radiofonico come un esercizio di modulazione della voce alternativo ma complementare ad altre frequenze disponibili, tanta attitudine camaleontica non è diffusa tra colleghi e collaboratori. E lui, commissionando nuovi testi, insiste, con vena lievemente ossessiva, nel richiedere adeguamento alle leggi del mezzo: «Unico vincolo: quello di una sicura accessibilità» (a Contini, 2 febbraio 1951); «Il microfono vuole cose piane, esplicite» (a Paolo Rodocanachi, 7 aprile 1951); «Raccomando frasi brevi, eloquio vulgabile» (a Onofrio Martinelli, 30 maggio 1951).33
Insistenza pari, forse, all’entità del disatteso. Rivedere gli scritti altrui era un’occupazione che Gadda prendeva sul serio, nel tentativo di supplire, in fase correttoria, ai deficit di chiarezza dei pur avvisatissimi collaboratori.34 Lo zelo toccò picchi di interventismo dalla complicata gestione personale. A Leone Traverso, il 22 maggio 1951, Gadda scrive: «Ti chiedo umilmente perdono se ho osato, [in un’ora di impazienza non verso di te, ma verso il terzo programma, che sempre mi muove rimproveri circa le difficoltà dei testi], spezzare o comunque contaminare la prima pagina di entratura, di apertura, del tuo ottimo Benn».35 Un altro ingorgo fu quello con Onofrio Martinelli. Non solo, nel suo caso, le esortazioni alla limpidezza si moltiplicano (accanto a quella citata, anche due lettere di poco successive, del 4 e 13 giugno, insistono sullo stesso tema), ma gli interventi del redattore finiscono per offendere l’autore. La moglie di Martinelli, Adriana Pincherle, ricorda che «Gadda diventò esigente, e un po’ prepotente», arrivando a tagliare un pezzo di Onofrio con metodi troppo energici. Martinelli se ne ebbe a male.36
Mentre disciplina la scrittura altrui, Gadda sperimenta esiti molteplici nella propria: qualche mese prima di accingersi alle Norme aveva licenziato uno dei suoi testi più programmaticamente antiaccessibili, la Nota bibliografica a completamento del Primo libro delle favole: «è in italiano antico. Ci ho faticato molto».37 Intemperanza di registro che suona quasi come una presa in giro: era stato l’editore, Neri Pozza, a suggerire all’autore di scrivere un breve testo a conclusione delle Favole, «sempreché Lei abbia da dire su di esse qualche cosa a maggior intelligenza del lettore».38 Il risultato è paradossale. Gadda promette di consegnare in una decina di giorni, impiega quasi un anno, e produce una manciata di pagine allusive e criptiche, scritte in falsetto arcaicizzante: tutto fuorché un aiuto «a maggior intelligenza del lettore».
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