Psicopompo by Amélie Nothomb

Psicopompo by Amélie Nothomb

autore:Amélie Nothomb [Nothomb, Amélie]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Voland
pubblicato: 2024-02-20T23:00:00+00:00


A Vientiane la musica era proibita, a eccezione dell’inno nazionale che gli altoparlanti diffondevano all’alba e al tramonto. La melodia era di uno squallore assoluto, ma come tutti la ascoltavo estasiata. Nel brutto viaggio che avevo incautamente intrapreso, era quello l’unico segnale del passare del tempo.

Sull’altra sponda del Mekong c’era la Thailandia. Quando il vento soffiava verso il Laos, arrivava a sprazzi uno strimpellare di violini. Sembrava favoloso un paese in cui si sentiva musica dalla mattina alla sera.

Il Mekong era lo Stige. Vientiane era dalla parte degli Inferi. La voce interiore gracchiava:

– Sei una psicopompa fallita. Attraversare il fiume è impensabile. Stai per morire.

Solo gli uccelli riuscivano a oltrepassare il Mekong, e neanche tutti, esclusivamente quelli capaci di lunghe trasvolate. Era un fiume di una larghezza incredibile.

Avevo un’amica che veniva a trovarmi in camera. Si chiamava Viengkéo e aveva trent’anni, cosa che non mi disturbava, perché io non avevo più età. Diceva che le piacevo per via delle mie sopracciglia: le trovava belle. Che qualcuno potesse vedere in me qualcosa di bello mi soggiogava.

Viengkéo significava smeraldo. Si vestiva sempre di verde. Mi parlava dolcemente di cose senza importanza. Gliene sarò grata in eterno.

Una notte capii che la morte era vicina. Si annunciò con un freddo inimmaginabile. Il termometro indicava una temperatura di trenta gradi, quindi era la Grande Mietitrice.

Accadde un fenomeno allucinante. Il mio corpo si separò dalla mia anima. Il cavallo di Troia sputò fuori il poco che conteneva e andò a mangiare. L’anima – i Greci – assistette allo spettacolo lanciando grida di indignazione. I Greci dichiararono che non era quello il piano, che non avevano fatto tanta fatica per finire così. Il cavallo accettava la strigliata, ma non per questo smetteva di ingozzarsi.

Fu l’inizio di un’altra lunga malattia. Il cavallo di legno non digeriva niente. Dovette reimparare ad assimilare il cibo. Ci volle un tempo infinito e una serie di sofferenze insopportabili. I Greci urlavano di rabbia, senza rendersi conto del miracolo: non era morto nessuno. Più esattamente il cavallo di Troia aveva fatto un’opera orfica. Aveva inventato un metodo sorprendente quanto efficace per garantirsi una forma di sopravvivenza, contando sul futuro. Un giorno l’anima si sarebbe placata e sarebbe tornata. Nel frattempo, finché fosse rimasta fuori dalla sua carcassa, non avrebbe meritato altro nome che questo: i Greci.

Brutta genìa. Virgilio mi aveva avvertita, bisognava diffidarne. Il cavallo di Troia se ne andava dritto per la sua strada, rifiutando i doni dei Greci, conscio come nessun altro di quanto fossero pericolosi.

L’idea che qualcuno aspirasse a essere puro spirito mi lasciava interdetta. Conducevo due vite distinte, quella del corpo e quella dell’anima. Quella del corpo non era un granché, ma progrediva coraggiosamente verso una lenta guarigione. Quella dell’anima consisteva solo in conflitti e imprecazioni: disprezzo greco verso il mestiere di vivere.

Per chi ha la vocazione di diventare uccello non è facile essere un cavallo di Troia. Avrei guadagnato tempo se nell’Iliade avessero costruito un uccello di legno al posto di quel ronzino. Tra l’altro le due specie non sono poi così estranee l’una all’altra.



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