Sant'Agostino by Giovanni Papini

Sant'Agostino by Giovanni Papini

autore:Giovanni Papini
La lingua: ita
Format: epub
editore: Vallecchi 1929
pubblicato: 2014-06-01T00:00:00+00:00


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COME IL CERVO ALLA FONTE

Gli eremiti di Cassiciaco dovettero tornare a Milano nei primi giorni di marzo perchè gli electi o competentes — cioè coloro che desiderevano il battesimo — dovevano iscriversi al principio di quaresima e le Ceneri, nel 387, furono il 10 di marzo. Alipio, in segno di devozione, volle fare il lungo tragitto a piedi nudi, benché la terra fosse ancora ghiacciata. Giunti a Milano pare che Licenzio e Trigezio andassero per conto loro ma gli altri rientrarono nella vecchia casa dove il fico, nell'orto, non aveva ancor cominciato a rimetter le foglie.

Il battesimo veniva amministrato, in quei tempi, solo nella notte tra il Sabato Santo e la mattina di Pasqua: durante la quaresima i candidati venivano istruiti per farli degni di ricevere il triplice sacramento, che allora battesimo, cresima e prima comunione si seguivano nel corso della medesima cerimonia. In quei mesi di marzo e d'aprile Agostino si recò tutti i giorni a una delle basiliche mediolanensi — forse l'ambrosiana — e potè corroborarsi l'anima, un po' disseccata e distratta dai frastagli filosofici, al banchetto quotidiano della liturgia. Egli risentì, o sentì per la prima volta, cantar dal popolo quegli inni che Ambrogio aveva composti e insegnati più di un anno prima, quando gli ariani di Giustina e i legionari di Valentiniano avevano costretto i cattolici milanesi ad asserragliarsi nella basilica, intorno al loro vescovo, per impedir che la chiesa fosse consegnata agli eretici, e ci stavano di guardia sempre, anche la notte. In quei giorni di sospensione e di tumulto, il vecchio patrizio e uomo di stato, divenuto predicatore e teologo, s'improvvisò anche poeta. L'uso di cantare inni era già comune nella chiesa orientale ma in occidente non v'erano stati che i tentativi d'Ilario di Poitiers e il canto liturgico era pressoché ignoto. Le minaccie dei potenti, la fervenza dei fedeli, la certezza della vittoria accesero la fantasia d'Ambrogio che da calmo omileta si trasformò in lirico caldo e solenne sì che gli usciron dal cuore, in brevissimo tempo, quegli inni famosi che ancor oggi si cantano in molte ufficiature. «Quanto piansi — racconta Agostino — nell'udire quegli inni e quei cantici che risonavano nella tua chiesa così soavemente e quanto acutamente mi commovevano quelle voci! Quelle voci scorrevano nei miei orecchi, distillavano la verità nel mio cuore e vi suscitavano un'affettuosa pietà, e sgorgavan le mie lacrime e me ne trovavo bene».

Agostino, ora più profondamente poeta di quando accozzava versi per le gare di Cartagine, e per di più sollevato dalla fede recente all'amoroso intendimento dei misteri che balenavano nei versi d'Ambrogio, si preparava alla nuova vita, in quei momenti, assai più che non avesse fatto nelle disputazioni novembrine in Brianza. E chissà con quale convinta tenerezza cantava, insieme agli umili fedeli, le parole del Deus creator omnium del quale Monnica, a Cassiciaco, aveva ricordato trionfalmente l'ultimo verso. «E quando il denso velo delle ombre notturne avrà interamente oscurato il giorno, la nostra fede ignori le tenebre, e la notte sia rischiarata dallo splendore della fede.



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