Sto mentendo by Maria Elisa Aloisi

Sto mentendo by Maria Elisa Aloisi

autore:Maria Elisa Aloisi [Aloisi, Maria Elisa]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2024-08-01T12:00:00+00:00


13

Con insano sadismo, lasciai il mio cliente a macerarsi nel dubbio e passai dallo studio per recuperare Mou. Mentre guidavo verso casa, ogni tanto gli lanciavo una sbirciata dallo specchietto retrovisore. Abbaiava ai motorini, alitava sui vetri con la lingua penzoloni. Si muoveva un po’ qua e un po’ là sul sedile. A volte mi bastava osservarlo per sentirmi felice.

Non avevo ancora detto nulla a zia Ofelia del guaio combinato da Belmonte. Speravo che tutto si sarebbe risolto senza doverla allarmare.

La trovammo che canticchiava una canzone anni Sessanta, umore in pendant con il maglioncino dalla tinta pastello. Dall’armadio aveva pure rispolverato un vecchio paio di jeans, che non le vedevo indossare da secoli.

«Eccovi, finalmente. Ilia, tesoro, ha telefonato tuo padre.»

«Tutto bene?»

«Sì, a parte il fatto che non lo chiami mai.»

«Invece di lamentarsi con te, non farebbe prima a telefonarmi lui?»

La zia smise di trafficare in cucina e si voltò verso di me. «Proprio non riesci a perdonarlo, vero?»

Più che altro a lui fregava meno di zero del mio perdono, ma il punto non era quello.

Ogni volta che chiudevamo una telefonata mi sentivo meschina. Saperlo appagato di una vita senza di me mi metteva di cattivo umore. Non riuscivo a essere felice per lui e basta. Proprio non ci riuscivo. «Lo chiamo domani.»

La zia mi spostò una ciocca di capelli che mi era scivolata sugli occhi. «Va’ a lavarti le mani. Qui è pronto, mettiamoci a tavola.»

Mentre ci accingevamo a cenare, fummo interrotte dal trillo del mio cellulare che fece vibrare tutta la credenza.

Zia lo prese e me lo porse. «È Andrea Belmonte, che vuole?»

Alzai le spalle e, afferrato il telefono, mi isolai in giardino per non farle sentire la conversazione.

«Novità?» gli chiesi mentre il cuore accelerava i battiti.

«Brutte notizie.»

«Che vuol dire?»

«Non sentono ragioni. Vogliono indietro Rambo... cioè Mou.»

«Ma come possono dimostrare che è il loro cane? Sono io l’intestataria del microchip.»

«Purtroppo, non è così. Hanno fatto una denuncia di smarrimento lo scorso autunno. Insistono che il cane appartiene a loro e che il vecchio microchip si è smagnetizzato. Ho parlato anche col loro veterinario. È disposto a fare una lastra per individuarlo.»

«Non ho nessuna intenzione di ridarglielo.»

«Ti mando l’indirizzo su WhatsApp. Devi portargli il cane domani.»

«No! Stiamo parlando di Mou.»

«Ilia, ti denunceranno.»

Che mi denunciassero pure, che mi radiassero dall’albo, ero stufa di regole ed etichetta. «La colpa è tua, e dei tuoi post del cazzo. Vaffanculo!»

«Ilia, che modi sono?» Zia Ofelia era uscita sulla veranda e mi fissava allarmata. «Cos’è successo?»

Spensi il telefono e lo misi in tasca. «Entriamo. Ti racconto tutto.»

Quella sera andammo a letto tardi: la mia narcolessia non si era palesata proprio quando mi avrebbe fatto comodo. Anche la zia non aveva riposato bene. Pallida e con gli occhi arrossati, sedeva sul divano abbracciata a Mou e continuava a soffiarsi il naso.

«Non puoi portarglielo domani sera?»

«No, zia. Devo farlo stamattina.»

«Aspetta, ti prendo il suo cuscino. Non dorme bene se non ha il suo cuscino.»

«Ok.» Intanto finivo di sorseggiare il caffè.

«Eccolo» disse, tornata dopo un po’. «Ti ho preso anche la pallina e il calamaro che suona.



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