Storia del figlio by Marie-Hélèn Lafon

Storia del figlio by Marie-Hélèn Lafon

autore:Marie-Hélèn Lafon [Lafon, Marie-Hélèn]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Fazi
pubblicato: 2022-05-05T22:00:00+00:00


1 Vaysset si pronuncia in francese come WC ([vese]). [N.d.T.]

Mercoledì 20 gennaio 1960

Hélène sferruzza qualcosa per Antoine. Scarpine e cuffiette sono il suo forte, in famiglia lo sanno e ci contano. Ha sempre avuto la sensazione che il figlio di Juliette e André sarebbe stato un maschio. Un’altra delle intuizioni di Hélène, così le chiamano, e hanno un valore oracolare. Lei e Léon hanno già sette nipotine, che crescono tra Saint-Céré, Cahors e Bergerac. Le vedono spesso perché è un continuo andirivieni, restano e se ne vanno, a grappoli irruenti di due, tre o quattro; è la manada delle cugine, come dice Léon che si picca di tauromachia. Hélène spegne la radio, è sola, Léon è andato a montare delle mensole a Cahors, da Claire, il cui marito ha le mani di burro e non sarebbe capace di piantare un chiodo senza farsi male; la figlia maggiore di Claire divora libri, giorno e notte, ha appena sedici anni e una testa molto ben fatta, a scuola è un anno avanti, vuole capire tutto, imparare tutto, e già si parla per lei di un liceo prestigioso a Parigi, di concorsi difficilissimi. I suoi genitori sono orgogliosi, così come i nonni, ma Hélène è dell’idea che sua nipote sia troppo giovane per andare in un collegio a Parigi dove dimenticherà di mangiare e di dormire per continuare a leggere e a studiare senza mai smettere. A Hélène piace lavorare a maglia, è un’attività che tiene occupate le mani e lascia galoppare la mente. Il silenzio della casa la avvolge, le capita di rado di rimanere sola e quei momenti sono preziosi. Léon parla molto, fa rumore, alza la radio perché sta diventando duro d’orecchi. Lei non riesce a immaginare una vita senza Léon e senza figli, la famiglia occupa tutto il suo orizzonte ma sa che è possibile vivere diversamente. Gabrielle ha vissuto diversamente, continua a farlo, e non le è caduto il cielo in testa. Il ticchettio dei ferri e i rintocchi dell’orologio si rispondono a vicenda. È una giornata azzurra di gennaio; la luce invernale è ideale per i lavori femminili. Sente la voce di sua suocera, che si era preoccupata di insegnarle il cucito, la maglia, l’uncinetto e vari punti di ricamo. Sua madre non ne sarebbe stata capace, non avrebbe avuto né la voglia né il tempo. I loro genitori non si erano mai abituati ai modi di Gabrielle; rimuginavano, mugugnavano negli angoli, ma non osavano affrontare quella cavallona, nemmeno la madre che pure non mancava di energia. Hélène ricorda che parlavano di lei dicendo questa cavallona; erano sopraffatti, scoraggiati, umiliati, e anche arrabbiati, di una rabbia repressa, di quelle che durano e usurano. Il mordente che aveva Gabrielle sin dall’infanzia, le sue maniere da puledra recalcitrante li lasciavano senza parole. Il fatto che avesse voluto imparare un mestiere e diventare infermiera era forse stato per loro motivo di orgoglio. Avevano intuito che il matrimonio, i figli, una vita regolare e ordinata a Figeac o Saint-Céré non facevano



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