Storia della mafia by Giuseppe Carlo Marino
autore:Giuseppe Carlo Marino [Marino, Giuseppe Carlo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: True Crime, Organized Crime, History, General, Essays
ISBN: 9788854144309
Google: 3TXjxQI8sPoC
editore: Newton Compton Editori
pubblicato: 2012-07-17T22:00:00+00:00
L’antimafia intellettuale e morale e l’iniziativa politica di Giuseppe D’Angelo
Il sistema mafioso fu inizialmente destabilizzato dalla rivolta milazziana, tanto più che le “famiglie” mafiose di Palermo stavano vivendo già da tempo quella fase di esasperata conflittualità per la spartizione del territorio e la conquista delle migliori quote del business che le avrebbe costrette, come si è visto, alla guerra.
In più, c’era un grave motivo di allarme che le stava allontanando dalla linea politica fanfaniana ancora impersonata nell’isola da Giovanni Gioia, e rendeva indifferibile l’esigenza di trovare nuovi referenti nazionali. Fanfani, con il cauto appoggio di Aldo Moro, stava inaugurando la stagione del centro-sinistra. E all’eventualità di una svolta del genere si collegava quella di un possibile ritorno indiretto del PCI al governo nazionale, con la copertura del PSI.
Il cardinale Ruffini stava impegnando tutte le sue energie per scongiurarla: lanciava accorati appelli di dissuasione, minacciava anatemi attestandosi sulle posizioni del Santo Uffizio che nel 1949 aveva scomunicato i comunisti; riconfermava l’automatico effetto di “peccato mortale” della collaborazione con i comunisti e ad essi accomunava inscindibilmente i socialisti, ma non i mafiosi ai quali continuava a mostrare la sua benevolenza. Egli, in concreto, aveva fatto definitivamente propria la strana “dottrina” che la mafia tradizionalista aveva elaborato su se stessa e di cui ancora qualche vecchio boss in quiescenza snocciolava il fondamentale articolo di fede: i mafiosi, ammesso che esistano davvero e non siano, com’è più probabile, delle invenzioni dei sovversivi, sono elementi d’“ordine”, espressioni di una saggia e generosa sicilianità che non ha nulla da spartire con la delinquenza. Conseguentemente, in base a tale dottrina, il presule non avrebbe avuto difficoltà a riconoscere che personaggi come Liggio e i La Barbera, con le loro esibizioni di violenza gangsteristica all’americana, potessero essere perseguiti come comuni delinquenti, salvo a ritenere degni di considerazione e di rispetto quanti avessero continuato ad accontentarsi di un giudizioso uso della lupara e ad attenersi alle regole dell’“Onorata società”. Purtroppo per lui, il vegliardo Ruffini si era ridotto a difendere i ruderi di una vecchia Chiesa che stava subendo l’urto inaspettato del pontificato di Giovanni XXIII. E, insieme al suo mito reazionario dell’“Onorata società”, si disfece in solitaria e sdegnata impotenza la sua opposizione al centro-sinistra.
Cosa nostra, realtà molto prammatica e senza dubbio disinteressata alle dottrine – che pure continuava a godere di certe rendite di posizione della mentalità e del costume della vecchia mafia, anche se, da tempo, si era abituata a prescindere dalle troppo sottili distinzioni tra i concetti di mafia e delinquenza – sulla questione dell’apertura ai socialisti nutriva le stesse idee e viveva gli stessi allarmi del cardinale, ovviamente per motivi nient’affatto riferibili a preoccupazioni di natura religiosa. Temeva la probabile ascesa a posizioni di potere dei più tenaci nemici dei suoi interessi.
Temeva un diverso atteggiamento dello Stato, un efficace impegno della vigilanza pubblica e l’avvio di sistematiche pratiche repressive e, in una situazione segnata ancora da aspri conflitti tra le sue componenti, temeva soprattutto, con la prevedibile svolta verso un nuovo assetto della leadership
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